Il PD può essere la casa comune della sinistra?

9 Luglio 2009
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Piero Di Siena

Riportiamo uno stralcio della Relazione di Piero Di Siena all’Assemblea annuale dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, tenutasi a Roma il 4 luglio scorso. Si tratta di una riflessione interessante perché risponde al quesito che molti nell’area progressista si pongono, e cioé se la ricomposizione della sinistra possa avvenire all’interno del PD

Dopo la nuova negativa prova data dalle liste di sinistra nell’appuntamento delle elezioni europee c’è chi, anche a sinistra, s’interroga più o meno apertamente se il processo di ricostruzione della sinistra italiana non debba essere condotto all’interno del Partito democratico. E ciò nonostante il travagliato avvio di quel partito e le difficoltà enormi che ha incontrato nel suo breve cammino. E’ un quesito che ad esempio si è posto in un suo articolo sul Manifesto Paul Ginsborg il 26 di giugno, proprio nel giorno in cui molti di noi, e lui con noi, sul tema della crisi economica e sui suoi effetti sulla democrazia, s’interrogavano su come definire una nuova autonoma piattaforma della sinistra.
E’ una questione che merita una risposta chiara. E’ mio parere che il PD, in quanto tale, e in tutte le componenti che oggi si confrontano in vista del congresso di quel partito, non può essere un in nessun caso uno dei luoghi di un progetto che si ponga il problema di ricostruire la sinistra nel nostro paese. Ciò naturalmente non significa che il PD non resti per la sinistra il principale interlocutore per la costruzione di un nuovo centrosinistra, e che il progetto di ricostruire la sinistra non debba guardare con spirito aperto al mondo - elettorato, culture, gruppi dirigenti - che il PD raccoglie oggi e esprime. Ma se ricostruire la sinistra significa non tanto ribadire le ragioni e persino i valori del movimento operaio del secolo scorso, insomma rinnovare una tradizione, bensì dare un’autonoma rappresentanza politica al mondo del lavoro dell’età della globalizzazione, che non l’ha mai avuta, il PD non può essere un luogo di questo progetto. Non tanto perché esso nasce dalla fusione di due tradizioni politiche - quella postcomunista e quella del cattolicesimo democratico -, ma perché il PD è una formazione politica interclassista, e che tale vuole rimanere, per la quale “riformismo” significa anche che il mondo del lavoro della nostra epoca, quello del capitalismo globalizzato, non possa esprimere una sua autonoma rappresentanza politica. E anzi che ciò non sia nemmeno desiderabile per il suo stesso interesse.
Noi invece questo obiettivo - che ha animato tutta la storia dell’Associazione per il rinnovamento della sinistra- intendiamo ribadirlo con particolare forza. Perché partiamo dalla valutazione di un dato oggettivo, da un giudizio sui caratteri della nostra epoca, che del resto da qualche tempo si fa strada nel dibattito a sinistra facendo giustizia delle innumerevoli dissertazioni sulla fine della centralità del lavoro che hanno accompagnato il trionfo del neoliberismo fino alle soglie della crisi attuale.
Mi riferisco al fatto che, mai come oggi, il lavoro che nasce all’interno dei rapporti di produzione e di riproduzione del capitalismo è stato così diffuso su scala mondiale, a cominciare da quello operaio, legato allo sviluppo dell’industria manifatturiera nei paesi emergenti dell’Asia, e in parte dell’America latina. Cioè mai il lavoro ha raggiunto pari livelli di universalizzazione, e mai come oggi il fatto che esso prenda “coscienza di sé” (come si sarebbe detto un tempo), che si dia appunto nelle diversi parti del mondo una rappresentanza politica autonoma - attraverso percorsi e una costruzione della propria identità per tanti aspetti allo stato delle cose imprevedibili - è essenziale al fine del superamento di quelle contraddizioni che segnano l’insostenibilità ambientale e sociale dell’economia-mondo attuale. Voglio dire che se mai vi sono state condizioni oggettive che possono dare senso all’aspirazione acché il lavoro salariato liberando se stesso liberi tutta l’umanità mai esse sono state così grandi come nell’epoca attuale. E’ questa la ragione per cui tale aspirazione può e deve tornare a essere idea regolativa dell’agire politico. Rapporto tra i sessi, tra crescita e ambiente, tra libertà e uguaglianza, su cui da tempo a sinistra ci s’interroga, più che questioni nuove che si aggiungono alla contraddizione capitale lavoro, sono la dimensione nuova entro cui si manifesta la contraddizione tra capitale e lavoro, in un quadro segnato da un capitalismo che afferra e subordina a sé il senso stesso del’esistenza umana.
Le ragioni di una nuova sinistra, in ogni parte del pianeta, e quindi anche da noi, devono partire da qui, da questo giudizio sulla struttura del mondo, da questa valutazione generale della fase che attraversiamo.

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