E’ compatibile il federalismo con l’attuale struttura dei partiti?

2 Ottobre 2009
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Gianfranco Sabattini

Riprendiamo il dibattito su federalismo e centralismo nel nostro Paese con questa riflessione di carattere generale del Prof. G.F. Sabattini, cui seguirà, domani,  un esame delle ragioni ostative alla realizzazione di un vero federalismo in Italia.

Discutendo della necessità di riformare la struttura istituzionale complessiva dello Stato-nazione italiano, per “dare voce” alle singole comunità regionali attraverso un’organizzazione istituzionale alternativa a quella unitaria, ciò che spesso viene trascurato è il fatto che il sistema esistente dei partiti nel nostro Paese svolge un ruolo di protagonista, da indurre a dubitare che l’eventuale riforma istituzionale possa non risentire della sua crisi e della loro incapacità a recepire direttamente le aspirazioni all’autorealizzazione delle comunità etnico-culturali regionali. È un dubbio, questo, che spinge molti autentici autonomisti ad augurarsi che ciò possa non accadere, ovvero che l’attuale sistema dei partiti non sia mai messo nella condizione, ora, di affrontare il problema della riorganizzazione in senso federalista del nostro Stato, secondo forme che vadano ben oltre i limiti del solo federalismo fiscale, per via della scarsa fiducia che ripongono nelle capacità progettuali dal punto di vista politico dei partiti tradizionali italiani. Da dove origina questo timore?
In realtà, nel nostro Paese, la riorganizzazione in senso federale dello Stato potrebbe avvenire solo per dissaggregazione e, quindi, essere governata e condizionata da partiti, i quali, avendo perso gran parte della loro legittimazione presso l’elettorato per tutti i motivi che tutti conoscono, finirebbero per utilizzare le istanze della “Periferia” solo per rivitalizzare sé stessi. In conseguenza di ciò, per recuperare il sistema dei partiti al ruolo di autentici rappresentanti dell’intera società civile orientata a recuperare una dimensione costituzionale dello Stato più aperta e sensibile alle istanze delle comunità regionali sarebbe necessario porre mano ad una riorganizzazione della struttura organizzativa dei partiti per renderli maggiormente compatibili con le istituzioni preposte al governo delle relazioni tra “Centro” (Stato federale) e “Periferia” (Stati federati); istituzioni, queste, che si costituirebbero dopo il superamento dell’attuale Stato unitario. Se si assume come paradigma di riferimento il processo che ha portato alla formazione degli Stati federali storici (Stati Uniti, Canada, Australia, Svizzera ecc.) è possibile affermare che questi Stati sono stati il risultato di un’aggregazione di più entità statali che hanno deciso di unirsi per dare vita ad uno Stato superiore che li ricomprendesse. L’omologazione agli Stati federali storici degli Stati, che, originariamente unitari, decidono, per scomposizione, di dare vita ad entità statali decentrate determina l’appiattimento delle differenze relative, che, invece, sussistono, sino a risultare pregnanti di significato. Se si osserva il rapporto tra i processi federali ed il sistema dei partiti dal punto di vista della sua evoluzione, è possibile rilevare che negli Stati federali storici il sistema dei partiti si è sviluppato successivamente alla costituzione dello Stato federale, nel senso che il sistema dei partiti si è formato in un ambiente di tipo federale. In conseguenza di ciò, i partiti, sin dall’origine, hanno assunto un’organizzazione interna di tipo decentrato con la quale hanno potuto gestire le relazioni tra il “Centro” e la “Periferia” pur in presenza di elementi che caratterizzavano, entro certi limiti, le relazioni stesse in termini di asimmetria istituzionale.
Se si considera ora il processo di formazione degli Stati federali moderni (Regno Unito, Italia, Belgio, Spagna), i partiti interferiscono con il processo di federazione per disaggregazione a causa del fatto che la loro organizzazione accentrata risulta essere compatibile solo con una gestione delle relazioni tra il “Centro” e la “Periferia” libera da qualsiasi forma, anche residuale, di asimmetria istituzionale. E’ in questo contesto che si è assistito alla comparsa dei partiti regionali, che sono stati completamente assenti negli Stati federali storici. Secondo alcuni, è a questa situazione che può essere ricondotta l’evoluzione dell’esperienza storica dell’Italia repubblicana; sin dal suo nascere, infatti, il regionalismo italiano, che, nell’Assemblea costituente ha sostituito l’”idea federale”, è stato condizionato dalle scelte e dalle strategie del sistema dei partiti. Infatti, l’elemento che, in particolare, dopo la Liberazione, ha impedito che si formassero dei partiti regionali, che avrebbero dovuto essere la naturale espressione al “Centro” delle istanze delle società civili regionali, è stato l’avvento dell’egemonia delle ideologie che i grandi partiti nazionali hanno posto a fondamento dei loro programmi. Tali ideologie sono risultate, però, esogene rispetto alle singole comunità regionali e, in quanto tali, non hanno lasciato spazio alcuno alle istanze autoctone.

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