Energia: l’accidente di Three Mile Island

22 Luglio 2010
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Gonario Francesco Sedda

A proposito della probabilità di un accidente di massima gravità in una centrale elettronucleare si sente ripetere che una “nuova Cernobyl” non è possibile in centrali dove i reattori hanno caratteristiche di intrinseca sicurezza che i reattori della filiera RBMK (Reaktor Bolshoi Moshchnosty Kanalnyi/Reattore di Alta potenza a Canali) non avevano in passato nell’URSS e che – nonostante siano stati migliorati – non hanno nella stessa misura oggi nella Federazione Russa. Fino a che punto questo facile confronto sia davvero e definitivamente rassicurante è cosa da discutere. Prima è opportuno rinfrescare la memoria degli accidenti più gravi.
Three Mile Island è un’isola sul fiume Susquehanna vicino a Harrisburg, capitale della Pennsylvania (USA) ed è la sede di una centrale nucleare dove sono stati realizzati due reattori il TMI-1 (1968-1974) e il TMI-2 (1969-1978) del tipo ad acqua sotto pressione (PWR, Pressurized Water Reactor).
Il 28 marzo 1979 alle 4 del mattino (ora locale), a causa di un guasto nel circuito secondario dell’impianto comincia l’incidente – nel circuito secondario circola acqua che si trasforma in vapore per l’alimentazione delle turbine (assorbendo calore dall’acqua calda proveniente dal circuito primario dove sotto pressione si è riscaldata sottraendo il calore di fissione sviluppatosi nel reattore).
Catena degli eventi
* Quando è iniziato l’incidente, la TMI-2 funzionava al 97% della sua potenza elettrica di progetto (900 MW). Un guasto meccanico o elettrico in una delle pompe del circuito secondario ha portato al blocco della pompa principale di alimentazione dell’acqua da cui si ottiene il vapore per le turbine. Era previsto che entrassero automaticamente in funzione le pompe ausiliarie di alimentazione, ma ciò non avvenne perché per un intervento di manutenzione ordinaria le valvole erano chiuse (le pompe vennero attivate manualmente otto minuti dopo). La conseguenza fu che l’acqua del circuito primario non poté essere raffreddata.
* Automaticamente si fermò la turbina e nel reattore si abbassarono completamente le barre di controllo spegnendo la reazione di fissione.
* Tuttavia la temperatura continuò ad aumentare nel reattore a causa di una produzione secondaria di calore (per decadimento radioattivo) che non poteva essere assorbito essendo ormai bloccato il circuito secondario di raffreddamento. La pressione del circuito primario cominciò ad aumentare.
* Per regolare la pressione in aumento la valvola di scarico pilotata del pressurizzatore si aprì secondo la sua funzione, ma non si richiuse dopo aver adeguato la pressione. In sala di controllo non si accorsero del suo malfunzionamento. A causa della perdita di refrigerante attraverso la valvola rimasta aperta, la pressione nel reattore continuò a diminuire oltre l’azione regolatrice della valvola stessa. La conseguenza fu che l’acqua di raffreddamento del circuito primario entrò in ebollizione. Si formarono bolle di vapore lungo il cammino dell’acqua refrigerante, le quali ne ostacolavano il flusso. Quindi la temperatura del nòcciolo continuò ad aumentare.
* La formazione del vapore portò a un aumento del volume del contenuto del reattore (acqua liquida + vapore) e ciò fece salire il livello dell’acqua nel pressurizzatore, nonostante che si perdesse acqua di raffreddamento attraverso la valvola di scarico rimasta aperta. Poiché non era stato previsto uno strumento per rilevare direttamente il livello dell’acqua nel nòcciolo, fungeva da unico indicatore indiretto proprio il livello dell’acqua nel pressurizzatore. Essendo questo ultimo alto, se ne dedusse erroneamente che il nòcciolo era in pressione e coperto da liquido refrigerante.
* Continuava dunque la perdita di refrigerante attraverso la valvola di scarico rimasta aperta. Il serbatoio in cui veniva scaricato per il suo raffreddamento traboccò e si riempì anche il bacino di drenaggio facendo scattare un allarme sonoro alle 4 e 11 minuti del mattino. In quel quadro falsato di informazioni (riguardo al malfunzionamento della valvola di scarico e alle sue conseguenze) l’allarme venne ignorato.
* Alle 4 e 15 minuti del mattino, a causa di un eccessivo aumento di pressione, saltò il disco di rottura del serbatoio di raffreddamento del liquido proveniente dalla valvola di scarico rimasta aperta. Il refrigerante radioattivo del circuito primario cominciò a riversarsi nell’edificio di contenimento e si raccolse in un bacino di drenaggio da cui venne pompato verso un edificio ausiliario esterno.
* Nel circuito primario le pompe ausiliarie di alimentazione del refrigerante entrarono in funzione con lo scopo di contrastare gli effetti negativi dello sviluppo del vapore; ma dopo un’ora cominciarono a vibrare eccessivamente proprio per la presenza di bolle di vapore e nell’arco dell’ora successiva – prima l’una e poi l’altra – vennero spente. Si sperò che la circolazione del refrigerante per convezione naturale (come avviene con l’acqua di una pendola messa sul fornello) fosse sufficiente a portare via il calore, ma la presenza del vapore impedì tale circolazione e si ebbe un ulteriore aumento del vapore nel reattore.
* Dopo quasi due ore e mezzo dall’inizio dell’incidente (alle 6 e 21 minuti del mattino), la perdita di refrigerante attraverso la valvola di scarico pilotata venne bloccata operando su una valvola di chiusura che si trovava tra il pressurizzatore e la stessa valvola rimasta aperta. Ma la parte superiore del reattore era ormai scoperta e a causa del forte calore il vapore cominciò a reagire chimicamente con la lega al zirconio dell’incamiciatura che conteneva il combustibile. Trattandosi di una reazione chimica che sviluppa calore, la situazione divenne più critica. Preoccupò molto la presenza di idrogeno tra i prodotti in quanto poteva combinarsi in modo esplosivo con ossigeno (ed effettivamente si ebbe una piccola esplosione dentro l’edificio di contenimento primario, ma si temette fortemente qualcosa di peggio – una esplosione del reattore con eventuale danneggiamento dello stesso edificio di contenimento primario). L’incamiciatura di sostegno e protezione del combustibile venne corrosa e danneggiata con conseguente aumento della contaminazione radioattiva del refrigerante primario (circa 350 volte superiore al normale).
* Il nòcciolo subì una fusione parziale, ma dopo cinque giorni di interventi non sempre coerenti si riuscì a mettere sotto controllo il reattore e il sito nucleare.
* Per bonificare l’impianto TMI-2 sono stati necessari più di 13 anni (3 in più di quelli previsti nel piano del 1979). Il lavoro incominciò nell’agosto del 1979 e finì ufficialmente nel dicembre del 1993, con un costo totale di circa 975 milioni di dollari. Tra il 1985 e il 1990 furono rimosse dal sito circa 100 tonnellate di combustibile radioattivo.
Dopo la messa in sicurezza il TMI-2 è rimasto sempre inattivo sotto monitoraggio e tale resterà fino allo smantellamento di TMI-1. Questo impianto, che nel momento in cui iniziò l’incidente del TMI-2 era fermo per il rifornimento del combustibile, non poté riprendere la sua attività fino al 1985. Lo smantellamento del TMI-1 era previsto per il 2014, ma nel 2009 la Nuclear Regulatory Commission (NRC) ne ha spostato la chiusura al 2034, quando dall’accidente di TMI-2 saranno passati 55 anni.

Collegamenti
http://www.threemileisland.org/downloads/188.pdf. Relazione della Commissione sull’accidente di Three Mile Island – Kemeny, John G. (October 1979). Report of The President’s Commission on the Accident at Three Mile Island: The Need for Change: The Legacy of TMI. Washington, D.C. .
http://www.threemileisland.org/downloads/354.pdf. Relazione del gruppo di indagine sull’accidente di Three Mile Island per la Commissione che regola il settore nucleare statunitense (NRC) – Rogovin, Mitchell (1980). Three Mile Island: A report to the Commissioners and to the Public, Volume I. Nuclear Regulatory Commission, Special Inquiry Group.
http://resosol.org/Gazette/1979/26_27p2.html. Analisi dell’accidente di Three Mile Island (Gazette nucléaire, n. 26/27, 1979).
http://resosol.org/Gazette/1982/5051p10.html. Estratti del “rapporto Rogovin” sull’accidente di Three Mile Island (Gazette nucléaire, n. 50/51, 1982).

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