Riforma dello Statuto, basta cincischiare

7 Settembre 2010
2 Commenti


Andrea Raggio

Sono trascorsi dieci anni dalla riforma del titolo quinto della Costituzione e la Sardegna è ancora senza Statuto. Il testo del 1948 è in buona parte superato dai mutamenti intervenuti nel diritto comunitario e in quello regionale nonché nella condizione complessiva della Sardegna. Ed è mortificato dallo statuto materiale di stampo presidenzialista e berlusconiano che è andato formandosi in questi anni. Non possiamo continuare a cincischiare. E’ vero, lo Statuto di per sé non sana i mali della Sardegna, ma è strumento indispensabile all’attuazione di efficaci politiche di sviluppo. Perciò è importante che il Consiglio regionale decida sull’argomento in tempi rapidi e in termini chiari.
L’annunciato dibattito consiliare parte da posizioni distanti. La mozione Mario Floris e più collega il “nuovo Statuto sardo di autonomia” all’adozione “delle linee strategiche di un organico Progetto Sardegna”. Quella del PSA, invece, “impegna la Giunta regionale a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza”. La mozione PD e sinistre richiama integralmente il documento di Mario Floris; quella Felice Contu e più “denuncia come non valida la concessione della perfetta unione deliberata dal Re di Sardegna nel 1847” e propone la “elaborazione del nuovo Statuto - costituzione della Sardegna secondo le forme che la legittima rappresentanza del popolo sardo vorrà seguire” (No a formalismi istituzionali, come pretende Berlusconi?). Non risulta, al momento, un’iniziativa consiliare sull’argomento del PDL.
L’ipotesi indipendentista è da escludere. Non mi riferisco, ovviamente, al diritto di coltivarla, ma al fatto che la mozione che la propugna non è ammissibile poiché la sua approvazione sarebbe in contrasto con la Costituzione. Autonomia al limite dell’indipendenza? Statuto di sovranità? Decisivo aumento di sovranità? Queste vaghe espressioni lasciano immaginare una riforma grande e radicale, talmente grande e radicale da non potersi fare. Se non chiarite, queste espressioni, inoltre, possono indurre a conclusioni inconcludenti, a testi ambigui buoni solo ad abborracciare il rapporto col PSA, a fomentare l’insulsa gara a chi è più identitario e più indipendentista, a illudere che nel rapporto con lo Stato si è forti se si fa la faccia feroce (“Franceschiello non ci serve”, commentava Toti Mannuzzu). Diversivi e stravaganze che allontanano la soluzione del problema.
La riforma dello Statuto va certamente collegata, come chiede la mozione Mario Floris, a un’idea di sviluppo. Ieri si trattava della rottura del sottosviluppo. Oggi l’idea che va prevalendo è quella della piena valorizzazione delle potenzialità: risorse umane, ambiente ed economia verde, cultura, insularità e centralità mediterranea. Ieri lo strumento era il piano straordinario. Oggi non può che essere la partecipazione istituzionale e sociale, finalizzata a incidere sulle politiche nazionali e comunitarie e a mobilitare energie nell’attuazione di quelle regionali. L’Autonomia, in sintesi, intesa come esercizio della sovranità popolare. (articolo uno della Costituzione). A questo fine è senza dubbio indispensabile riconsiderare il rapporto tra la Regione e lo Stato evitando, tuttavia, di scaricare sullo Stato anche le nostre responsabilità. La giusta rivendicazione verso lo Stato non deve coprire le nostre magagne. Trasformare la Regione da Ente carrozzone neocentralista in ordinamento di autonomie e di partecipazione, governato da organismi snelli e politicamente forti, dipende principalmente da noi.

2 commenti

  • 1 Giulio C.
    7 Settembre 2010 - 12:34

    Riprendo l’ultimo spunto di Raggio per ricordare che forse aveva ragione chi qualche anno fa pensava che l’autonomia fosse utile non in sé e per sé ma solo se capace di portare avanti le condizioni economici, civili, intellettuali delle classi piú deboli della popolazione.
    Senza questo rischia di essere solo un involucro vuoto.

  • 2 andrea raggio
    7 Settembre 2010 - 18:41

    “L’Autonomia non è fine a se stessa; l’ordinamento regionale sarebbe un congegno inutile se non servisse per iniziare in Sardegna un’azione politica nuova, volta a rimuovere le cause della nostra arretratezza e ad avviare l’Isola verso un avvenire di progresso”. Renzo Laconi, Congresso del popolo sardo - Maggio 1950.

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