Bersani a Cagliari tra politica regionale e nazionale

20 Settembre 2010
5 Commenti


Andrea Raggio

L’ampio intervento di Pierluigi Bersani alla festa democratica di Cagliari (intervistato da Romano Cannas e Dario Vergassola) si presta a giudizi diversi. La parte dedicata alla politica nazionale è stata nell’insieme, a mio parere, chiara e convincente; reticente è stata, invece, quella dedicata alla politica regionale. La divaricazione tra i due livelli è da qualche tempo il limite del centrosinistra nell’isola, la principale causa dello scivolamento dall’autonomismo verso chiusure regionalistiche con venature etnocentriste. La questione sarda è sempre più ridotta a problema dei sardi. Gramsci, Lussu, Laconi, Dettori: tutti in soffitta. Da Bersani mi aspettavo un contributo al superamento di questo limite. Ha trascurato il tema, forse ha preferito non trattarlo in quest’occasione.
Il segretario del PD è stato efficace nell’illustrare l’impegno del suo partito nel costruire il programma attorno a due pilastri: il lavoro e la democrazia, intesi non solo come necessità sociali ma come fattori dello sviluppo. L’andamento della crisi denuncia, infatti, che alla ripresa economica non corrisponde una ripresa dell’occupazione, la quale, anzi, tende a diminuire, soprattutto nelle aree deboli. Far leva sull’occupazione è, perciò, un’esigenza prioritaria anche al fine di avviare una qualità nuova dello sviluppo. Così come la leva della democrazia è indispensabile anche per combattere le intollerabili diseguaglianze sociali che sono effetto e causa dello sviluppo distorto, diseguaglianze il cui superamento concorre a determinare la qualità della crescita economica. Si tratta, innegabilmente, di orientamenti innovativi: tradurli in politiche concrete non sarà facile, ma questo è il compito al quale occorre porre mano.
Parimenti innovativa, e a mio parere coerente con gli indirizzi programmatici, è la parte che Bersani ha dedicato alle alleanze. La distinzione tra il livello di governo e quello della difesa della democrazia e della Costituzione non solo tiene conto del contesto politico e dell’esigenza primaria di contrastare l’eversione berlusconiana, ma tende a prefigurare un quadro democratico di regole condivise entro il quale il bipolarismo sia competizione tra schieramenti alternativi e non più terreno di scontri selvaggi e di prevaricazione.
Sono sufficienti questi lineamenti a disegnare compiutamente l’identità del PD? Bisogna certamente lavoraci ancora, ma non si può negare che è stato fatto un buon tratto di strada. Ecco perché io, da democratico senza partito, non riesco a individuare ragioni politiche che giustifichino le recenti sortite veltroniane.
Diverso deve essere il giudizio sulla parte dell’intervento di Bersani dedicato alla politica regionale. Il segretario si è limitato a mettere il timbro sulla posizione del gruppo dirigente sardo: abbiamo vinto contro ogni previsione le recenti amministrative, andiamo avanti verso nuove vittorie. Capisco l’ottimismo della volontà, purché non giunga a nascondere la realtà. Nelle recenti amministrative il centrosinistra ha vinto ma ha vinto anche l’astensionismo e la democrazia non ne è uscita bene. Non è un problema? In Sardegna il presidenzialismo, sia nell’esperienza del centrosinistra sia in quella in corso del centrodestra, ha prodotto e sta producendo risultati negativi. Non è un problema che chiama in causa anche il rapporto tra presidenzialismo regionale e autonomie locali? Eppure la festa democratica dedicata proprio agli enti locali l’ha ignorato. Così come ha ignorato un altro aspetto dell’esperienza presidenzialistica sarda. Mi riferisco al rapporto tra l’autoritarismo e il sardismo, cioè l’espressione politica del sentimento identitario dei sardi. Renato Soru si è sforzato di vestire di sardità l’autoritarismo, il risultato è stato un fallimento. L’autonomismo sardo non può essere ridotto a mero ordinamento istituzionale, è innanzi tutto istanza di democrazia. Ugo Cappellacci ha pensato di cavarsela forzando il presidenzialismo in senso berlusconiano, allo scopo di coprire sia l’inconcludenza politica sia le frequentazioni sospette. Il risultato è che non potendo dimissionare il presidente, la maggioranza di centrodestra ha pensato di dimissionare l’intera giunta. E così da oltre tre mesi la Regione è impantanata in una crisi di fatto.
Sul presidenzialismo come assetto istituzionale le opinioni sono diverse. Si può andare alla riforma dello Statuto ignorando il problema? Sia che si voglia risolverlo alla radice, sia che ci si voglia limitare a correggere gli inconvenienti che l’esperienza ha messo in luce, la questione non può essere elusa.
Il PD sardo, in vista del dibattito sulla riforma istituzionale annunciato per il 21 settembre, ha presentato una mozione nella quale si limita a richiamare integralmente la mozione Floris Mario e più la quale collega il nuovo Statuto sardo di autonomia all’adozione delle linee strategiche di un progetto Sardegna. Giusto, il rapporto democrazia-sviluppo costituisce il fondamento dell’Autonomia. Recentemente, però, lo stesso PD ha annunciato la presentazione di un ordine del giorno, primi firmatari Bruno e Soru, che muta posizione. In sintonia con la mozione presentata dall’UDC, “denuncia la perfetta fusione del 1847”, sostiene “che l’attuale forma di autonomia non ha realizzato pienamente i suoi obiettivi” e conclude proponendo una nuova forma di autonomia, ripescando così una proposta avanzata distrattamente nel 1995 dal centrosinistra e rapidamente abbandonata. Un vero e proprio pasticcio finalizzato, immagino, ad abborracciare il rapporto con l’UDC e col PSA.
Denunciare la perfetta fusione del 1847 (concessa da Carlo Alberto ma chiesta, non dimentichiamo, dalla borghesia sarda)? Ci ha già pensato la Costituzione. L’Autonomia ha mancato i suoi obiettivi? Smettiamola di scaricare sulle istituzioni le colpe della politica. Nuova forma di Autonomia? Autonomia al limite dell’indipendenza? Decisivo aumento di sovranità? Tutte forzature dell’autonomismo in chiave secessionista di matrice leghista. La Costituzione dice chiaramente che la sovranità spetta al popolo e che l’autonomia regionale è una delle forme della sua gestione. Le Regioni, dice sempre la Costituzione, concorrono con lo Stato e i comuni a formare la Repubblica. Siamo in una prospettiva federalista. Cos’altro si vuole?
Spero vivamente che il PD voglia rivedere la sua posizione. Ribadisco: la finalità della riforma, anche col superamento del presidenzialismo o con la revisione degli aspetti più criticati, deve essere la partecipazione. Partecipazione istituzionale e sociale per incidere sulle politiche nazionali e comunitarie e per concorrere all’attuazione di quelle regionali. A questo fine, ripeto, è senza dubbio indispensabile riconsiderare il rapporto tra la Regione e lo Stato evitando, tuttavia, di scaricare sullo Stato anche le nostre responsabilità. Trasformare la Regione da Ente carrozzone neocentralista in ordinamento di autonomie e di partecipazione, governato da organismi snelli e politicamente forti, dipende principalmente da noi.

5 commenti

  • 1 Bomboi Adriano
    20 Settembre 2010 - 12:55

    Non sarebbe più corretto dire che le colpe non sono solo della politica (che l’Autonomia del ‘48 l’ha applicata malissimo) ma che anche quel modello istituzionale non risponde più alle nostre esigenze?
    Dispiace Raggio vedere che per lei la Questione Sarda, con il diritto dei popoli a revisionare le costituzioni (al posto di difenderle come la Bibbia), sia stata declassata al rango di “esercizio leghista”.
    I Sardi non hanno certo imparato nel 2010 dalla sedicente “Padania” a contestare istituzioni strette e centraliste. Il federalismo per adesso lo abbiamo solo sulla carta e sugli intenti di un regionalismo stato-petente. Nei fatti non riusciamo neppure a fare una superstrada (governi di destra e sinistra inclusi nelle responsabilità) senza che il nostro scarso peso parlamentare penalizzi la nostra (presunta) autonomia.
    In Canada questo problema lo risolsero dando alle singole comunità lo stesso numero di parlamentari. Ma questo è un’altro mondo, un’altro esempio, quì si preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto.

    Di Bersani non c’è molto da dire: è l’esponente di un partito centralista che con i suoi temi è profondamente lontano dalle esigenze attuali del Popolo Sardo. Non ce ne dovrebbe fregare nulla della fantomatica linea del PD romano e delle sue alleanze per bilanciare i rapporti di forza della penisola. E questo non è “etnocentrismo”, è assumersi le proprie responsabilità di fronte al mondo, per entrarci sul serio in Europa, senza dover delegare dei signori che portano avanti interessi distanti dai nostri.
    A questo servono le riforme: non a chiudersi, ma ad aprirsi per uscire dalla periferia in cui ci hanno messi (ed in cui anche noi ci siamo fatti mettere).
    Il PD Sardo sta imboccando la giusta strada.

    Segnalo una replica sul tema inviata all’On. Guido Melis (PD): http://www.sanatzione.eu/2010/09/bomboi-replica-allon-guido-melis-su-storia-e-autonomia/

  • 2 andrea raggio
    20 Settembre 2010 - 19:22

    Lo Statuto del 1948 è certamente in buona parte superato dai mutamenti intervenuti nel diritto comunitario e in quello regionale nonchè nella condizione complessiva della Sardegna. Perciò parliamo della sua riforma. Io penso che la riforma debba andare nella direzione di un’effettiva partecipazione della Regione alle politiche nazionali e comunitarie e dei cittadini non solo alla definizione ma all’attuazione delle politiche regionali. Altri pensano che si debba andare in direzione dell’indipendenza. Non condivido questa scelta, la ritengo sbagliata e velleitaria, ma la rispetto perché ha il pregio della chiarezza. Ritengo, invece, ambigua la posizione di chi invoca una nuova forma di autonomia (quale?) e nello stesso tempo si dichiara contrario all’indipendentismo, rivendica una autonomia al limite dell’indipendenza e uno Statuto di sovranità, senza chiarire cosa intende.Queste posizioni, a mio parere, sono strumentali, impasticciate per corteggiare determinate forze politiche. Questa non è buona politica.

  • 3 Bomboi Adriano
    20 Settembre 2010 - 19:59

    Anch’io ho trovato la prima proposta di riforma statutaria di Antonello Cabras un pessimo modo di fare politica, parlando di “sovranità ai limiti dell’indipendenza” ma, fattualmente, peggiorando nel testo diversi aspetti di quello attuale http://www.urn-indipendentzia.com/URN/Proposta%20Cabras%20SS%2010-04-10.pdf. Ultimamente ha mutato atteggiamento, non può che fare piacere.
    Probabilmente il gruppo dirigente del PD Sardo fino a pochi mesi ha guardato all’indipendentismo come ad una indefinita accozzaglia di persone che abboccano all’amo senza leggere i contenuti delle proposte.
    E non basta invitare Gavino Sale a dei convegni (dove si ridacchia parlando di indipendentismo) per poter sedurre l’area indipendentista.

    La nuova linea pare essere più responsabile, mettere in discussione un evento come la “fusione” del 1847 non significa necessariamente aprire le porte al separatismo. Hanno parlato di Italia federale.
    In un contesto simile, anche la prospettiva di una revisione dell’attuale Costituzione italiana in senso federale non può che essere positiva. Ed in una prima fase, andrà bene anche per l’indipendentismo che certamente continuerà le sue battaglie (perché è ben difficile nell’immediato credere al conseguimento di tali obiettivi).
    Guardiamo inoltre a cosa sta succedendo in Europa ma anche in Italia: Miccicché ha annunciato la creazione del Partito del Popolo Siciliano…
    Se si intende la sovranità come una conquista dentro la quale strappare più competenze possibili allo Stato centrale, non ci sono ragioni in Sardegna per accontentarsi di una sola piccola riforma dello Statuto Sardo che lascerebbe inevase parecchie questioni, e molte di queste attingono anche alla natura con cui è nato questo Stato.
    Certamente il pasticcio strumentale del PD Sardo c’è ancora, ma più che osservarne gli effetti sull’ambito indipendentista è opportuno osservarne gli effetti che potenzialmente potrebbe produrre sul piano delle riforme istituzionali.
    Non c’è comunità o minoranza oggi al mondo che, tutta unita, non abbia posto con forza il tema della sovranità agli stati di cui fanno parte.
    Non dobbiamo quindi essere “timidi” nei confronti di uno Stato che i nostri interessi li straccia costantemente senza pensarci due volte.

    A Cagliari si è consumato l’ennesimo teatrino della politica italiana. Con tutti i problemi sociali e della disoccupazione, credo che il cabaret di Vergassola con l’abbronzato Bersani sia stata un’autentica presa in giro per i nostri concittadini che non arrivano a fine mese.
    Non abbiamo bisogno di questa gente.

  • 4 Bomboi Adriano
    20 Settembre 2010 - 20:03

    Link errato, scusate, è il seguente senza il punto dopo pdf: http://www.urn-indipendentzia.com/URN/Proposta%20Cabras%20SS%2010-04-10.pdf

  • 5 maria rosaria
    21 Settembre 2010 - 17:40

    sono totalmrnted’accordo con l’analisi di Adriano Bomboi e sono veramente stufa di assistere al penoso teatrino della sinistra nazionale.

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