Quale etica per la regolazione del mercato?

23 Novembre 2010
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Gianfranco Sabattini

Gianpaolo Salvini, direttore di Civiltà Cattolica, e Luigi Zingales, docente di imprenditorialità e finanza dell’Università di Chicago ed editorialista de Il Sole e 24 Ore, hanno dato luogo ad un confronto, coordinato da Salvatore Carruba, su un tema oggi molti attuale: il rapporto tra etica e mercato. Il confronto ha fornito il contenuto del volume recentemente pubblicato intitolato “Il buono dell’economia”, recante una prefazione di Guido Tabellini, Rettore della Bocconi di Milano. A cosa si deve la riproposizione di un tema antico com’è quello dei rapporti tra etica e mercato e quali le conclusioni cui i partecipanti al dibattito sono pervenuti? Il perché dell’attualità del tema è Tabellini a spiegarlo, mentre le conclusioni cui pervengono i partecipanti al dibattito risultano, oltre che indeterminate, per certi versi anche contraddittorie rispetto all’affermata necessità di un’etica condivisa per la regolazione del mercato.
La recente crisi economica e finanziaria ha indotto a riflettere oltre che sugli aspetti tecnici, anche sui principi che dovrebbero suggerire la regolazione delle interazioni sociali nelle moderne economie di mercato. Un sistema economico basato sul libero scambio difficilmente potrebbe funzionare senza regole, in quanto la convivenza sociale sarebbe inevitabilmente compromessa. La tradizione del vecchio liberismo, cioè quello del laizzez-faire, pur sottolineando l’importanza dell’esistenza di un insieme di regole comportamentali, dice poco sulla condivisione dei fini, salvo quello che impone il generico obbligo morale secondo cui l’uomo nello svolgimento dell’attività economica debba essere sempre accettato come fine e mai come mezzo. Al riguardo, si sa come le cose sono andate a finire. Il libero mercato, in assenza di una condivisione generalizzata dei fini, ha solo evocato gli “animal spirit” di keynesiana memoria, i quali nel tempo hanno incrinato la solidarietà sociale attraverso un costante peggioramento della giustizia distributiva. Gli “animal spirit”, perciò, hanno originato un’alterazione della struttura originaria del libero mercato. Sino a renderlo, oltre che ingiusto sul piano distributivo, anche inefficiente e instabile nel funzionamento del sistema produttivo. Come risolvere il problema che è sorto a fronte del prevalere degli esiti negativi dello spontaneismo del mercato è sempre stato motivo di una ricorrente discussione, cui però non ha mai fatto seguito una proposta risolutoria. Anche Zingales e Salvini, stimolati dagli effetti della recente crisi economica e finanziaria, pur concordando sulla necessità di introdurre delle regole etiche per “addomesticare” il mercato, si dividono su un dubbio di fondo: il primo si chiede se nell’economia esista uno spazio necessario per l’etica; Salvini si chiede, invece, se economia ed etica siano o meno tra loro compatibili.
Così, Zingales precisa di non credere nello Stato etico che imponga valori e stabilisca i comportamenti da seguire; mentre Salvini suppone che il correttivo stia nella necessità che l’attività economica dei privati non sacrifichi il bene comune. Il laico Zingales ed il cattolico Salvini, tuttavia, convengono che il libero mercato sia regolato attraverso l’adozione di un ethos comune che esprima un “capitale civico” fatto di convinzioni condivise dalla totalità dei componenti il sistema sociale. A parte le differenze esistenti tra i due “dialoganti” sulla natura ultima degli stati del mondo, entrambi concordano che il mercato sia regolato, sul piano dell’efficienza e dell’equità, attraverso una rete di protezione sociale realizzata dallo Stato. Il punto debole della posizione del laico e di quella del cattolico rispetto alla necessità di una regolazione etica del mercato per rendere compatibile l’efficienza produttiva con la giustizia sociale è da rinvenirsi nel fatto che essi non hanno di meglio che riferirsi al ruolo regolatore dello Stato, senza considerare che questo può solo operare dall’esterno del mercato senza alcuna garanzia che il suo intervento miri realmente all’efficienza e all’equità.
Una disciplina del mercato sottratta all’arbitrio di un regolatore ad esso esterno può, invece, ottenersi endogenizzando, cioè istituzionalizzando, i principi cui è pervenuto il pensiero neoliberale con i contributi di Donald Dworkin e di John Rawls. Questi principi, se istituzionalizzati in termini pre-politici, implicano innanzitutto che l’efficienza è conseguibile assumendo che ogni soggetto possa realizzare tutto il suo potenziale e che sia negativo che il soggetto stesso possa fallire. In secondo luogo, che ogni soggetto sia responsabile del successo della propria esistenza, nel senso che sia libero di scegliere il tipo di vita da condurre per auto-realizzarsi. Da tali principi discende, così, che la salvaguardia dell’equità distributiva possa essere assicurata attraverso una ripartizione dei vantaggi socioeconomici che avvantaggi soprattutto coloro che stanno peggio. Ovviamente, la possibilità che sia realizzata un’organizzazione istituzionale siffatta implica un accordo che coinvolga la generalità dei sistemi socioeconomici del mondo; sino ad allora, il problema dei rapporti tra etica e mercato costituirà solo un ricorrente motivo di dibattito e di confronto.

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