Tyssen: si muove la giurisprudenza e la civiltà

21 Aprile 2011
1 Commento


Andrea Pubusa

Se taluno venisse condannato perchè ha costretto altri a vivere in un luogo infestato di serpenti velenosi, senza avvertirlo e senza munirlo del siero salvifico in caso di morso, voi che direste? Che quel taluno è un pazzo criminale e va punito! Ora nel caso Tyssen la questione non è molto dissimile. La Corte ha accertato che la direzione, in vista dello smantellamento dell’impianto, aveva deciso di sospendere le misure di sicurezza e, dunque, che il rischio d’incidente mortale negli altiforni, in quelle condizioni, era altissimo. La sentenza, dunque, non fa altro che trasporre nel mondo del lavoro, negli impianti industriali quanto negli altri campi è comunemente ammesso, e cioé che chi, pur non volendo la morte di una persona, la costringe a vivere in luoghi dove c’è un’alta probabilità che accada, senza prendere i dovuti rimedi, è responsabile non di omicidio colposo, ma di omicidio doloso, nella figura del dolo eventuale. Quest’ultimo è un tipo di dolo in cui l’agente si rappresenta la possibilità che l’evento si verifichi e accetta la possibilità che tale fatto si realizzi. È proprio questa accettazione consapevole del rischio che distingue il dolo eventiale dall’affine figura della colpa cosciente. Come si legge anche su Wikipedia, l’agente decide di agire “costi quel che costi”, accettando il rischio del verificarsi dell’evento.
Finora questa figura era stata bandita dai decessi sul lavoro, chiamati, per attenuarne la truculenza, morti bianche e ritenute più opera del destino che del fatto dell’uomo. Ricordo che anni fà, in seduta di laurea, non potei trattenermi dall’intervenire nella discussione di una tesi di diritto penale nel quale il laurando, trattando dei cancri mortali del petrolchimico di Marghera, sostenne la tesi dell’omicidio colposo: esisteva certo la prova che quella produzione provocava tante vittime dello stesso male, ma la scienza non aveva ancora provato il nesso di causa ed effetto tra le lavorazioni  di fabbrica e i decessi. Un po’ come l’uranio impoverito di Quirra o l’eternit di Casale Monferrato. In sede di discussione di laurea, in garbata polemica col maestro del povero studente, dissi che si può ammettere la colpa fintanto che il fenomeno non è acclarato, ma una volta che risulta l’altissima percentuale delle patologie in un certo ambiente, i decessi non potevano più essere giudicati colposi; la condotta dei responsabili della aziende andava valutata con più rigore. Il dissenso rimase e pensai che, almeno qualche spunto critico, l’argomento lo meritava.
Il processo Tyssen riporta questa problematica nella norma: anche per la sicurezza bisogna stabilire il nesso causale e l’elemento psicologico. E quest’ultimo và valutato alla stregua dei normali criteri. A Torino le indagini hanno accertato che i dirigenti Tyssen erano ben consapevoli dei rischi, ma li hanno corsi per risparmiare. Sempre il solito vizietto del capitale: il gelido profitto.
Ora questo approccio andrebbe esteso. Per esempio, alla Saras in tre anni quattro morti e altri in passato, sempre nelle imprese esterne. E’ un caso? O le condizioni di lavoro sono meno accettabili che alle dipendenze dirette dalla Saras? E se è così, cosa induce a mantenere questi lavoratori in queste condizioni: la stagionalità o l’occasionalità delle loro prestazioni o ancora il vil profitto? Ma se così fosse, nella condotta dei vertici Saras c’è solo colpa o dolo eventuale? Insomma, risparmiare sulla sicurezza dei lavoratori, pur vedendone le conseguenze letali, oltre che eticamente riprovevole, è anche penalmente rilevante?
Ecco un quesito serio. Più serio che incriminare i dirigenti aziendali, se questi effettuano scelte nel contesto di prescrizioni della “proprietà”. Nessun intento punitivo, ovviamente, ma solo la finalità di salvaguardare la vita dei lavoratori se ed in quanto le morti dipendano esclusivamente da scelte ispirate dalla massimizzazione dei profitti. Sotto questo profilo la decisione di Torino è destinata a smuovere la frontiera della giurisprudenza e anche la coscienza civile del Paese.

1 commento

  • 1 antonella
    21 Aprile 2011 - 11:13

    Ma a Torino i familiari delle vittime Tyssen non si sono fatti comprare dall’azienda né hanno considerato un vanto l’avere i proprietari ai funerali.
    Ai sardi manca la dignità della lotta per i diritti.
    Non mi pare che la Cgil alla Saras abbia intrapreso dure forme di protesta, gli altri, UIL e CISL non li considero nemmeno sindacati.
    I sardi tutt’al più si incarcerano da soli e fanno le processioni col vescovo. Vedi la grande processione regionale per il lavoro del 2009 con il presidente Cappellacci e il vescovo in prima fila…
    Ricordi il regalo a Carlo Alberto? una coppia di nani in una carrozzina ( marcello fois inTamburini)
    é il simbolo del servilismo sardo.
    Meglio super servos
    suerte antonella

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