Cagliari, sempre meno città e sempre meno capitale

20 Aprile 2011
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Andrea Raggio

Con la presentazione delle liste si è conclusa la corsa alle candidature. A Cagliari i candidati sindaci sono nove e oltre milleduecento i concorrenti al seggio consiliare. Non credo che questa corsa alla candidatura sia un bene. Temo, anzi, che la campagna elettorale s’impoverisca nell’esasperata personalizzazione della politica, a danno del confronto programmatico. E’, questo, un pericolo da evitare nell’interesse generale. La debolezza politica e amministrativa di Cagliari capitale, infatti, nuoce non solo alle condizioni di vita dei cagliaritani ma all’intera società isolana.
Occorre, quindi, rianimare il dibattito programmatico sin qui arrestatosi all’inventario dei vecchi irrisolti problemi, rivisitati da Massimo Fantola in chiave economicistica (Città impresa) e da Massimo Zedda in chiave sociale (Città partecipata). Queste diverse visioni distinguono certamente i due schieramenti, ma si tratta pur sempre di visioni generiche, non ancorate a concrete prospettive. La posizione degli altri candidati non sembra discostarsi granché da questo limite.
Il quale sta, innanzi tutto, nella riluttanza a esprimere un giudizio chiaro e compiuto sulla decennale esperienza delle Giunte Floris. Un decennio di immobilismo, di promesse mancate e di progetti campati per aria. Non una sola delle iniziative annunciate ha preso corpo, i vecchi problemi sono stati aggravati dall’incuria. Persino le mura del Bastione, monumento emblema della città, sono state lasciate esposte alla disgregazione delle erbacce e degli arbusti che vi crescono rigogliosi e indisturbati.
Ecco perché dal punto di vista della cittadinanza Cagliari è sempre meno città e da quello politico è sempre meno capitale. La causa del declino consiste principalmente in quel che è stato definito “agire politico”, cioè nel comportamento, all’interno delle istituzioni e nella società, della classe dirigente locale. Una classe dirigente la quale, avendo da lungo tempo rinunciato al compito di mediare nell’interesse generale, è rimasta e rimane prigioniera degli interessi particolari e delle spinte affaristiche e clientelari, e perciò costituisce l’ostacolo principale allo sviluppo della città.
Il ricambio della classe dirigente è impresa complessa e di lunga lena, non può essere affidata soltanto al risultato elettorale. Tuttavia le elezioni possono dare un forte segnale di rinnovamento, aprire una strada nuova. Il punto di svolta non può che essere l’azione volta a contrastare la pressione dei gruppi di potere e del sistema clientelare e a restituire alle istituzioni comunali autonomia nella gestione della cosa pubblica e capacità di tutela dei diritti di cittadinanza.
Capisco la difficoltà dei candidati e dei partiti ad affrontare questi temi. La responsabilità del degrado della pubblica amministrazione, infatti, è trasversale, coinvolge anche settori del centrosinistra perché la domanda di protezione clientelare è cresciuta in rapporto al venire meno della tutela dei diritti. Perciò lo scambio protezione clientelare - fedeltà politica è la piaga della vita pubblica oggi. Per sanarla occorre determinazione. E’ tempo che i candidati affrontino apertamente il problema e i partiti, a cominciare dal PD, scendano in campo senza remore, con proposte concrete e azioni conseguenti.

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