Cagliari: un’identità da salvare

23 Marzo 2012
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Francesco Cocco

Da tempo a Cagliari si è sviluppato (anche su questo blog) un vivace dibattito sull’azione della nuova Amministrazione comunale. L’elettorato democratico pretende giustamente dalla Giunta Zedda una svolta politica a salvaguardia e rilancio della nostra splendida città. Ecco sulla questione un contributo di un fine conoscitore di Cagliari, che partendo dalle cose da fare (e da non fare), delinea un vero programma per valorizzare l’identità della città.

Premetto che ho fiducia nella sensibilità identitaria degli organi municipali in carica, a partire dal sindaco e dalla giunta municipale. Per questo mi preoccupo quando leggo dell’intenzione di dare una nuova destinazione al “vecchio” ospedale “San Giovanni di Dio”, situato al centro di Cagliari.
Il caso sarebbe l’ennesima dismissione di una costruzione monumentale che caratterizza e dà identità al capoluogo sardo. Già da qualche lustro l’edificio dove ebbe sede il liceo artistico in piazzetta Dettori attende una nuova destinazione. Sino a metà degli anni ’50 vi era allocato il liceo classico frequentato un secolo fa da Antonio Gramsci e da tanti altri insigni cittadini sardi.
Nella via Roma non c’è più l’ “Albergo Moderno” che nel corso di un secolo aveva ospitato illustri ospiti e che avrebbe meritato la qualifica di “albergo storico”. Pure l’antico Liceo Siotto, nelle scalette di Piazza San Sepolcro, ha una nuova destinazione ad albergo. Dobbiamo per altro verso riconoscere che due licei (Siotto e Dettori, poi liceo artistico) a poche centinaia di metri di distanza l’uno dall’altro non erano giustificabili . Ma non vi è dubbio che una certa dimensione della città (luogo di studio con annesse memorie storiche) è scomparsa. Anche la vecchia “Scuola Elementare Riva”, in Piazza Garibaldi, frequentata da generazioni di alunni delle scuole elementari, poi anche delle materne, da tempo non funge più d’avvio al sapere per le nuove generazioni. Da qualche tempo sono iniziati i lavori di restauro e non resta che augurarci che le amministrazioni deputate la restituiscano alla sua destinazione storica. Insomma vorremmo che il capoluogo dell’ Isola perdesse l’abitudine negativa di distruggere i luoghi del proprio passato.
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale Cagliari (ovvero i suoi amministratori) è stata caratterizzata da una pericolosa forma di autodistruzione. Si è cominciato con l’abbattimento del vecchio mercato civico del Largo Carlo Felice. Erano due splendidi edifici destinati uno a mercato delle erbe, l’altro prevalentemente a mercato del pesce. Con tutta l’attenzione all’esigenza di decentrare un servizio essenziale come quello annonario, non vi è dubbio che gli edifici avrebbero potuto avere una nuova destinazione pubblica: spazi espositivi, giardino d’inverno, centro d’aggregazione sociale.
Negli anni ‘70 è scomparso un simbolo della vecchia città murata, il “Portico Romero” che collegava la via Garibaldi col Quartiere di Villanova. Niente di monumentale ma era comunque simbolo di una città che voleva salvaguardare le particolari identità dei suoi quartieri storici. Un vero oltraggio visto che l’abbattimento è servito all’edificazione di un anonimo palazzotto rivestito di piastrelle.
Poi negli anni ‘80 si sono eliminati i casotti del Poetto che davano una caratteristica unica alla città. Erano frutto di ingegnosità e abilità artigianale, e se ne sarebbe potuta mantenere la presenza destinandoli alla sostituzione dei mastodontici stabilimenti in muratura. Certo non tutti i casotti erano da salvare ma selezionando i migliori si sarebbe salvata una pagina della memoria e della creatività di Cagliari.
Oggi la Cagliari democratica combatte una sacrosanta battaglia per la salvaguardia della necropoli punica. La nostra archeologia non può essere sommersa e cancellata dalla speculazione urbanistica. Sarebbe però sbagliato pensare che questa battaglia sia distinta da quella complessiva per la salvaguardia della memoria storica, fatta anche dalla destinazione che i luoghi hanno avuto nel tempo e che danno corpo alla memoria stessa.

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