Il problema della lealtà costituzionale della Chiesa

15 Agosto 2008
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Gianfranco Sabattini

Sul Corriere della Sera del 13 agosto Giuseppe De Rita osserva che è prevedibile che a settembre in Italia si ricominci a polemizzare sul ruolo della Chiesa nell’attuale realtà politica e sociale italiana. C’è solo da sperare, osserva De Rita, che non si continui la polemica fra difensori della laicità dello Stato e difensori dei “valori non contrattabili” della Chiesa, in considerazione del fatto che un simile “gioco” è destinato a risultare “sempre più oggettivamente in ribasso”; ma anche in considerazione del fatto che il presunto primato della laicità nel discutere i problemi che attengono alla realtà politica e sociale costituirebbe un’arma ormai spuntata, in quanto si tratterebbe di un’eredita dei tempi in cui la Chiesa suppliva lo Stato a fronte delle insufficienze delle politiche pubbliche a contenuto sociale. In conseguenza di ciò, per De Rita, ai laici non resterebbe, se vogliono continuare il confronto con la Chiesa, che operare “un impegnativo salto di qualità culturale”. A fronte di una simile conclusione, c’è solo da chiedersi in quale mondo viva De Rita e come faccia ad affermare che la critica laica alla supplenza sociale della Chiesa (sempre subordinata allo svolgimento continuo di un’attività di cattura del consenso) sia solo un’eredità del passato; come se la Chiesa, al momento attuale, in presenza di una continua riduzione dell’intervento pubblico a sostegno delle parti sociali più deboli, non approfondisca e non allarghi di continuo (basta pensare all’attività della Caritas) la sua sostituzione allo Stato in cambio di lauti trasferimenti pubblici che a vario titolo affluiscono alle sue casse. La critica del pensiero laico su questo punto è “politicamente corretta”, non tanto per l’alto prezzo dei servizi sociali resi (peraltro “fatti bene e meglio” di quanto sappiano fare le strutture pubbliche), ma soprattutto per la delegittimazione che la delega dell’offerta di questi servizi comporta per lo Stato. La ripresa dell’eventuale confronto, perciò, tra laici e sostenitori del ruolo della Chiesa nella vita sociale e politica, non avrà tanto come obiettivo la critica dell’attività di supplenza, quanto la critica dei convincimenti che portano la Chiesa a pensare che sia ormai giunto il momento di “fare i conti” con il pensiero laico e la laicità dello Stato.
Nel mondo cattolico è largamente diffusa l’idea che l’epoca della secolarizzazione sia giunta al termine. L’agire sociale nelle sue diverse manifestazioni (politiche, culturali, scientifiche, economiche, relazionali, ecc.), dopo essersi progressivamente reso autonomo dalle premesse metafisiche del passato, sarebbe fallito nel presumere di poter sconfiggere le concezioni della realtà teologicamente orientate; da ciò sarebbe derivata una controtendenza culminata nella crisi della soggettività raziocinante e, nel contempo, un riorientamento dell’attenzione dei soggetti verso la religione e le prestazioni sociali delle quali essa sarebbe capace. Per questa ragione, anche il pensiero laico avrebbe i giorni contati. All’interno di questa prospettiva catastrofista, la Chiesa pretende di essere, non una semplice controparte su basi paritarie con lo Stato, ma la portatrice di un ethos valido per la società tutta e, dunque, per esempio, per questioni come l’aborto, il divorzio, la ricerca scientifica, la disponibilità della vita, le forme di convivenza personale, ecc.
Di fronte a questa pretesa, in Italia i rapporti tra Stato e Chiesa si sono svolti e continuano a svolgersi in presenza di confusioni e di inganni per la cui rimozione non mostrano di volersi adeguatamente impegnare le diverse parti politiche che si succedono nel governo democratico dello Stato. Il mancato chiarimento su questa questione di fondo impedisce che i cittadini percepiscano con chiarezza, come evidenzia Gustavo Zagrebelski nel suo ultimo libro (Contro l’etica della verità, 2008) le due diverse vie lungo le quali i rapporti tra Stato e Chiesa possono svolgersi in piana autonomia dell’uno nei confronti dell’altra: la via confessionale e la via dello Stato costituzionale democratico. La prima via è segnata dalla rivendicazione da parte della Chiesa del possesso di un patrimonio di verità ultime sul mondo naturale e sull’essere umano, come singolo e come soggetto sociale, destinato ad investire l’intera società; la seconda via, invece, è segnata dal rifiuto della pretesa della Chiesa di disporre di un diritto a formulare un giudizio etico assoluto sulle vicende politiche e sociali dello Stato. Quando, perciò, lo Stato democratico e costituzionale nel governo dei suoi rapporti con la Chiesa non dovesse percorrere la seconda delle vie appena indicate, la sua azione di governo delle vicende politiche e sociali risulterebbe vincolata da un giudizio esterno di verità. In questo caso, sarebbe inevitabile che si assistesse ad una sottrazione di legittimità della Costituzione, cui lo Stato dovrebbe di continuo informare la propria azione; ed sarebbe anche inevitabile che la lealtà costituzionale della Chiesa diventasse allora un problema.
Ricorrendo questa situazione dovrebbe diventare plausibile che l’intera comunità di cittadini, credenti e non-credenti, si rivolgesse allo Stato per invocare la difesa delle istituzioni democratiche, così come accadrebbe in tutti i casi in cui le stesse istituzioni fossero oggetto di “attentati” da parte di chicchessia, con azioni dirette a sospendere il loro normale funzionamento. La difesa delle istituzioni democratiche costituirebbe, infatti, il presidio contro il tentativo della Chiesa d’instaurare una “democrazia confessionale” che sarebbe l’esatto opposto della democrazia costituzionale. Quali sono i caratteri della democrazia costituzionale rispetto a quella confessionale cui aspira chi ha interesse a propagandare l’idea che l’epoca della secolarizzazione è giunta al termine? Il “patriottismo costituzionale”, proprio dei cittadini di una democrazia costituzionale, escludendo ogni fideistica adesione a verità ultime, prevede solo l’adesione critica a un sistema di valori contrattuali storicamente e culturalmente condivisi da tutti gli associati.
All’interno di un sistema sociale autenticamente democratico e costituzionale, le vicende politiche e sociali sono governate con l’istituzionalizzazione di un sistema di regole che prevedono l’adozione di decisioni attraverso maggioranze rese sempre instabili dalla critica delle minoranze; ciò avviene, in quanto l’apertura alla ragione del sistema sociale democratico e costituzionale esclude che il processo decisionale possa svolgersi sulla base di una concezione esaustiva della conoscenza. D’altra parte, la natura fallibile e instabile dei processi decisionali esclude anche che si possa dare “pari dignità” a tutte le possibili forme di compromesso decisionale cui è possibile pervenire, soprattutto se inficiate da presunte verità rivelate. Un relativismo siffatto, se accettato, esprimerebbe solo l’abdicazione da parte del sistema democratico e costituzionale della possibilità di dimostrare, responsabilmente, appunto con la critica del dissenso e con il metodo del falsificazionismo, le carenze conoscitive presenti in ognuno dei possibili compromessi. Per concludere, il relativismo metafisico o filosofico (secondo il quale tutte le forme di compromesso decisionale hanno identico valore di verità), come pure l’oggettivismo assoluto dello scientismo metafisico, non ha alcuna attinenza con il sistema sociale democratico e costituzionale aperto al pluralismo; e quando accade che i rappresentanti dell’organizzazione dello Stato democratico e costituzionale accettano d’essere delegittimati dalle pretese dei rappresentanti di istituzioni esterne allo Stato, come è accaduto in occasione della visita del Sindaco di Roma al massimo esponente della Chiesa cattolica, “i laici confessionali” tradiscono inevitabilmente il “patriottismo costituzionale” e spianano la via all’instaurazione in Italia di una democrazia confessionale. Questa preoccupazione è così tanto di basso profilo da meritare le “bacchettate” di De Rita? Semmai, c’è da meravigliarsi che un sociologo attento alla dinamica politica e sociale, come lo è De Rita, si mostri così disponibile al “getto della spugna”, in modo così definitivo sino a prefigurare serie preoccupazioni per il futuro della società italiana.

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