Il lord comunista

19 Ottobre 2012
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Aldo Tortorella 

Questo intervento è stato pronunciato da Aldo Tortorella alla Casa della cultura di Milano in occasione di un incontro promosso dalla Fondazione Gramsci in memoria di Wogan Philips, lord Milford (1902-1993) e di sua moglie Tamara Kravetz (1913-2008) che hanno lasciato tutto il loro patrimonio italiano alla Fondazione Gramsci, ad Amnesty International, alla Casa della madre e del fanciullo e all’associazione milanese delle donne maltrattate.

Nessuno meglio di Hobsbawm ha spiegato perché negli anni 30 del secolo scorso tanti intellettuali occidentali del più grande valore si siano schierati dalla parte dell’Unione Sovietica, nonostante tutto: i processi falsi, la decimazione del gruppo dirigente, la fine di ogni dialettica politica, le accuse di Trotsky e di tanti altri. E’ invalso ormai un giudizio di condanna senza appello e l’equiparazione assoluta tra l’idea comunista, identificata nell’esperienza sovietica, e il nazismo e il fascismo: anzi, qui da noi, il fascismo pare da rivalutare ancor più che da distinguere.  Ha presieduto a questo processo di omologazione la categoria teorica di totalitarismo, usata dapprima in Italia dai fascisti e dai loro critici,  fatta oggetto di una sterminata bibliografia e resa popolare, come si sa, da Hannah Arendt in un suo libro famoso. Ma , come può accadere alle astrazioni concettuali, quella categoria trascurava le esistenze  storiche. Per chi visse la stagione tra le due guerre le cose – e la loro percezione – non stavano in quel modo.  C’era la devastante crisi economica capitalistica iniziata nel 29, il nazismo trionfava in Germania, il fascismo italiano aggrediva l’Etiopia macchiandosi di crimini orrendi,  la repubblica spagnola veniva attaccata in armi con l’appoggio fornito da Mussolini e da Hitler,  iniziava la persecuzione degli ebrei che diverrà poi sterminio. Di contro, la situazione sovietica si presentava come  un baluardo contro il fascismo, ed era intesa come il primo e dunque tormentato e anche tragico manifestarsi di una idea universale. E dagli Stati uniti veniva, con il new deal di Roosvelt,  la affermazione del ruolo regolatore dello stato e l’affacciarsi di forme di programmazione e pianificazione in contrapposizione al lasciar fare liberista dimostratosi disastroso. Dentro questa realtà storica forma la sua coscienza politica Wogan Phillips, erede del titolo di lord Milford,   ( titolo riconquistato, o ricomprato, da suo padre dopo che varie famiglie Phillips lo avevano avuto e perduto nel corso dei secoli).  Lo sciopero generale del 1926 in Inghilterra, iniziato dai minatori e poi esteso alla maggior parte dei lavoratori, lo aveva colpito profondamente, com’egli ricordava. Fu allora che ebbe, per la prima volta un rapporto diretto con gli operai e ne vide le condizioni reali. Si avvicinò a loro non per sostenerli ma per convincerli delle ragioni antisciopero, ma furono loro a scuotere le sue convinzioni.  La parte del giovane rampollo di una ricca famiglia incominciò a pesargli. La  pur stimolante frequentazione del gruppo di Bloomsbury – che fu intensa  particolarmente nei primi anni del matrimonio con Rosamund Lehmann, la scrittrice che farà scandalo e diverrà celebre con il suo primo romanzo – non era destinata a fare di quell’ambiente il suo mondo. Anche se quell’intenso clima di cultura innovatrice e anticonformistica – da Virginia Woolf a Stephen Spender, da Maynard  Keynes a Bertrand Russell a tutti gli altri, che rappresentarono una concentrazione straordinaria di intelletti  -   lo aveva indirettamente sollecitato a tentare di trasformare in una scelta di lavoro e di vita la sua passione per la pittura: e infatti aprirà un suo studio a Parigi abbandonando l’azienda di famiglia.  La pittura rimarrà  una sua grande passione sino alla fine ma, in realtà, fu la politica, intesa come bisogno di cambiare un mondo ingiusto, la sua più autentica vocazione, quella che determinerà le scelte destinate a tracciare  lo svolgimento della sua vita. La guerra di Spagna costituì l ’evento determinante per i  convincimenti, e le decisioni esistenziali, di quella generazione di giovani  che avevano iniziato ad assumere atteggiamenti critici verso il fascismo e verso l’assetto sociale capitalistico – come ci hanno spiegato, qui da noi, tanti protagonisti della nostra storia del ‘900. La differenza con ciò che ha rappresentato il Vietnam per la generazione del ‘68 stava nel carattere di quella guerra e nell’impegno personale che chiedeva. La resistenza armata al franchismo era parte di un dramma tutto interno all’Europa, era la testimonianza della parte più avanzata dei  giovane generazione di un rifiuto totale al fascismo e al nazismo, anche a costo del sacrificio della propria vita. Chi poteva andava a combattere, chi dava la propria solidarietà si sentiva nelle immediate retrovie. Anche dalla parte opposta, quella dei fascisti, ci furono volontari – giovani convinti che il fascismo fosse la vera rivoluzione – ma erano gli Stati a inquadrarli, a sostentarli, a proteggerli.. I volontari antifranchisti non avevano alle spalle altro che la loro coscienza e il sostegno morale degli antifascisti. I governi liberal-democratici stettero a guardare o, peggio,  incoraggiarono o sostennero i franchisti. Non compresero o non vollero comprendere che si trattava dell’anticipazione del grande massacro della seconda guerra mondiale. E il conflitto, infatti, sarà promosso dai nazisti pochi mesi dopo la sconfitta finale degli antifascisti in Spagna. Wogan è uno di quelli che interrompe la sua vita per andare nelle brigate internazionali.  Il compito di guidare sulle linee del fronte un’ambulanza, comprata con i soldi raccolti in Inghilterra, per raccogliere i feriti  lo mette crudamente di fronte alle più grandi sofferenze ma anche alla grandezza delle persone semplici. Non ne parlava mai, e se gli si chiedeva era la risposta di un antieroe, di chi si era tormentato, come anche scrisse, ritenendo di non essere all’altezza del compito e si era, e rimaneva, profondamente commosso dalla serenità con cui andavano incontro alla morte uomini che avevano volontariamente abbandonato le loro case e il loro lavoro per difendere il popolo spagnolo.  Nella battaglia sul fiume Jarama nei pressi di Madrid caddero più di tre quarti degli ottocento uomini del battaglione inglese, compreso il suo comandante, e non diverse furono le perdite per gli altri gruppi delle brigate internazionali. Quando Wogan, dopo 18 mesi di guerra, viene ferito da una granata che uccide al suo fianco un amico  e viene rimandato in Inghilterra, la sua scelta comunista si è consolidata. E si completa  con l’iscrizione al partito (era il 1937) e la conseguente decisione del padre di diseredarlo. Wogan si guadagnerà da vivere dirigendo con bravura un fondo agricolo lasciatogli dalla madre. L’incontro con Cristina Casati avvenne anche per la comunanza delle idee politiche: e sarebbe da conoscere bene la storia intellettuale di questa bella e intelligente signora che si sente vicina ai comunisti, lei, erede di uno storico casato milanese, divenuta in prime nozze contessa inglese, figlia di quella bellissima e ricchissima  Luisa Casati ritratta dai più grandi pittori, celebrata dai poeti, famosa  per il suo amore per l’arte , gli artisti, la vita stravagante e le dissipazioni. Forse, anche Cristina aveva avvertito il declino di una classe sociale,  non solo per la fine dell’aristocrazia ma anche per l’esaurirsi della funzione progressiva della grande borghesia imprenditoriale –  il suo nonno materno Amman era stato il più importante industriale tessile di Milano – quasi tutta passata al fascismo. E’  in gran parte il cospicuo patrimonio terriero di Cristina Casati, che ora è arrivato all’istituto Gramsci, ad Amnesty, e a due organizzazioni storiche delle donne milanesi. A lungo,  in realtà, Wogan aveva destinato l’eredità alla federazione milanese del Pci, ma la mutazione del partito in altro da se non lo convinse e dispose diversamente. Comunque, è il caso di una sorta di legge del contrappasso rispetto alla sorte dell’altra parte del patrimonio Casati – quella del cugino di Cristina, omicida e suicida – caduta  nelle mani del nostro ex presidente del consiglio -  e sappiamo ormai tutti con quali truffaldini maneggi e con quale irrisorio prezzo. Il patrimonio di Cristina (affidato a una cooperativa che utilizzava gli utili per gli investimenti) era ancora intatto perché è stato scrupolosamente preservato  per quasi sessant’anni da Wogan prima  e poi da Tamara Kravetz, di origine georgiana, figlia di una bolscevica, giornalista, sposata dopo la precoce morte di Cristina avvenuta nel 1953, dieci anni dopo il matrimonio con Wogan. La storia del “compagno lord” ci spiega bene quali siano stati i contenuti dell’appartenenza comunista che è stata spesso interpretata come una sorte di convincimento fanatico. L’esempio di  Wogan dimostra il contrario, come sa chiunque l’abbia conosciuto. Non c’era in lui neppure la più lontana ombra di fanatismo, di credenza acritica, meno che mai di accettazione di qualche dogma. Al contrario era la somma delle doti migliori che si attribuiscono agli inglesi: la ragionevolezza, l’humour, lo spirito pratico,  una certa flemmatica ponderazione. I suoi silenzi accompagnati dall’arguzia dello sguardo scoraggiavano l’interlocutore che si azzardava in considerazioni improbabili. Certamente, le smentite della storia di cui  lui, come tutti noi, era stato testimone lo avevano portato a  correggere radicalmente l’idea, che fu a lungo assai forte, che la strada per la trasformazione sociale coincidesse con quella sovietica. Ma perciò Wogan  si era fatto una specie di iscritto senza tessera del Partito comunista italiano così come ha detto Hobsbawm di se stesso.  Hobsbawm sapeva l’italiano, aveva frequentato l’Italia per conto suo e, poi, era divenuto uno dei più acuti relatori in convegni gramsciani e in altri  eventi culturali qui da noi.  Wogan Phillips dal dopoguerra in poi fu a Milano regolarmente ogni anno a visitare la cooperativa agricola e a incontrare i dirigenti del Pci cui versava , quando c’era, la parte che la cooperativa gli dava.  Abitava nella soffitta di palazzo Casati trasformata in un unico spazio d’abitazione e qui lo si incontrava per discutere con lui di politica, innanzitutto italiana. Capiva e leggeva la nostra lingua ma non la parlava. Gramsci aveva rappresentato per il grande storico e per il militante lord Milford (e, certo,  non solo per loro) un enorme sollievo, man mano che diventava evidente l’involuzione dell’esperienza sovietica in cui i comunisti di quella generazione (entrambi erano dell’inizio del secolo xx) avevano fermamente creduto.  Gramsci fu – ed è – la possibilità di un altro modo di intendere il marxismo che la faceva finita con l’insopportabile dogmatismo di una vulgata che non aveva più niente di Marx. E il PCI significava il tentativo di comporre la concretezza delle soluzioni possibili per l’interesse dei lavoratori e dell’insieme del paese con un proposito riformatore del modello economico sociale , il tentativo di tenere insieme l’anima riformista e quella rivoluzionaria in una sintesi politica da rinnovare continuamente.  Questa impresa straordinaria era riuscita nella lotta antifascista, nella Resistenza, nella fase costituente, nell’opera della ricostruzione e della fuoruscita dall’arretratezza. Perciò il PCI divenne in quegli anni un punto di riferimento per molti comunisti in ogni parte del mondo, ivi compresa l’URSS. Ma Wogan Philipps aveva provveduto per conto suo ad essere un comunista diverso e non solo per il suo  celebre discorso d’esordio (era il 1962) alla camera dei lord dov’era entrato alla morte del padre – che lo aveva diseredato ma non aveva potuto portargli via il seggio assegnato per via ereditaria. In verità , Wogan in quel consesso non avrebbe voluto andare e non ci sarebbe andato senza l’opera di persuasione del segretario del Pc inglese, Pollit. Pur avendo mantenuto un’influenza in Scozia e in zone minerarie e operaie, dal 1950 i comunisti inglesi, per effetto del maggioritario di collegio, non avevano alcun rappresentate ai Comuni.  Il Partito chiese a Wogan di essere la sua voce seppure, paradossalmente, nel luogo simbolo del potere aristocratico. Wogan accettò, ma ottenne di fare il suo discorso d’esordio a modo suo. In quel discorso, dopo aver  dimostrato che quel consesso è per sua natura antidemocratico, concepito solo “per mantenere privilegi e ricchezze”,  concludeva  dicendo: “Per queste ragioni propongo la completa eliminazione di questa Camera che è solo un baluardo contro il progresso.” Come se si alzasse un cardinale a proporre l’abolizione del conclave. Ma quel discorso, per quanto risonante, è solo un episodio. A testimoniare del suo modo d’essere comunista fu il lungo impegno politico di base nel suo lavoro di agricoltore sul fondo di cui si prese cura sino alla fine. Promosse e diresse un sindacato per i contadini, fu consigliere comunale, non si tirò indietro quando ci furono provocazioni e minacce, riuscì a farsi stimare anche da chi lo aveva avversato. Quando è morto nel 1993 il Guardian mandò qualcuno a parlare con la gente del suo villaggio e uno gli disse :” Volevo bene a quell’uomo. Era uno vero.” E’ quest’uomo vero che noi oggi onoriamo e ringraziamo. Chiedendogli scusa di averlo fatto con tanto ritardo.

pubblicato: 17 ottobre 2012 in Primo piano

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