L’ultima lezione di Papa Benedetto

14 Febbraio 2013
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Aldo Lobina

Con la decisione di lasciare il soglio pontificio Papa Benedetto affida alla comunità cattolica, e non solo a quella, un messaggio di formidabile potenza. Lo fa nei limiti e nelle possibilità offerte dal diritto canonico, ma l’abdicazione di un papa è insolita e per questo sconcertante, almeno a caldo.
Per il cristiano ogni uomo è sacro, perché è fatto a immagine e somiglianza di Dio, come dice la Bibbia. Nella Chiesa cattolica esistono diverse responsabilità, ordinate differentemente per favorire la sua organizzazione secolare, cioè la sua missione nel mondo.
Pietro era un semplice pescatore, scelto da Cristo per edificare la Sua Chiesa; Joseph Aloisius Ratzinger un teologo dei nostri tempi, scelto dal collegio cardinalizio, per “edificare” l’Istituzione.
Tra gli uomini ci sono ruoli diversi, ma uguale dignità di figli di Dio.
La storia della Chiesa è ricca di personalità differenti che hanno “agito” il Vangelo: laici, preti, vescovi, pontefici, ma anche di altre che  non sono sicuramente state fulgidi esempi di virtù cristiane: laici, preti, vescovi, pontefici.
Se intendessimo la sacralità della persona come patrimonio esclusivo di alcun,commetteremmo un errore gravissimo. Il “Santo Padre” sa – più di tutti – di essere uomo tra gli uomini, e di essere “santo” nella misura in cui può adempiere alla funzione per cui è stato “consacrato”, servo dei servi di Dio!
Da vescovo a papa il salto è grande, perché di vescovi ce ne sono molti, mentre uno solo è quello di Roma, cui storicamente ragioni teologiche e dottrinali hanno attribuito un primato. In forza del quale ad esso spetta di essere capo del Collegio dei vescovi, vicario di Cristo e guida della Chiesa universale. Detentore anche della sovranità temporale su quello che rimane dello Stato Pontificio.
Joseph Aloisius Ratzinger, severo custode della fede cattolica, queste cose le conosce bene. La sua rinuncia a servire la Chiesa, da papa, è del tutto umana, è segno di umiltà, di responsabilità, di grande amore per la Chiesa, nella consapevolezza della necessità di energie anche fisiche da parte del suo pastore.
Questa rinuncia sembrerebbe un gesto estremo di impotenza, di debolezza. Non lo è! Questo “morire”, questa resa apparente, parafrasando una frase del Vangelo, nelle intenzioni del papa porterà molto frutto. Più di quelli che sarebbero stati prodotti da una ormai stanca prosecuzione dell’incarico.
Un pragmatismo, tutto tedesco forse, non meno eloquente della diversa sensibilità mostrata dal predecessore, che ha testimoniato invece con la malattia la stessa “umiliazione” dell’uomo, la sua debolezza, diventata monito per tutti. A ricordarci che le cose del mondo sono effimere.
Paradossalmente, a mio modesto avviso, la grandezza di Benedetto sta nel suo coraggio: la sua resa ha un senso positivo, va nella direzione giusta, per il bene dei cattolici di tutto il mondo.
Confondere il ruolo con la persona è un errore da non commettere mai. Questo vale anche in ambiti meno religiosi, ma altrettanto importanti quanto al servizio, come quelli politici. Ma su questo avremo modo di tornare in altre occasioni.

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