Il programma? Uscire dalla “democrazia oligarchica”

4 Marzo 2013
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Gonario Francesco Sedda

1. Dunque la coalizione democratica e progressista (PD, SEL e altri) ha vinto le elezioni di questo febbraio 2013. Una vittoria risicata dal lato del voto popolare in entrambi i rami del Parlamento, ma esaltata – grazie alla legge elettorale porcellona – con una maggioranza assoluta alla Camera (e questa sarebbe una cosa bellissima!!) e azzoppata al Senato in salsa “proporzional-primo-repubblicana” (e questa sarebbe una cosa bruttissima oltre che uno sberleffo al fanatismo maggioritarista-dio-ci-scampi-dal-proporzionale!!). La vittoria era prevista, ma nessuno aveva previsto neppure per approssimazione il quadro reale entro cui sarebbe avvenuta: qualcosa di molto diverso da una generica previsione di una vittoria azzoppata.
Nessuno, neppure lo stesso Beppe Grillo, aveva previsto per il M5S un risultato così forte da comprimere in modo determinante la vittoria della coalizione demo-progressista e da spingere Rivoluzione Civile abbondantemente sotto la soglia di sbarramento. Nessuno aveva dubitato che i risultati di M. Monti (quali che fossero stati) e quelli di G. Fini si sarebbero sommati allo zoccolo ormai “consolidato” dell’UDC di P. Casini e dunque nessuno aveva previsto una cannibalizzazione dell’UDC e di Futuro e Libertà da parte di Scelta Civica monti-zemoliana con un risultato tale da rendere marginale il ruolo di quest’ultima in Parlamento.
Anche i più critici e diffidenti nei confronti del dominante ed egemonico apparato ideologico e propagandistico sono rimasti invischiati dentro la deformante bolla mediatico-sondaggistica gonfiata soffiando in tutte le canne disponibili (i giornali, la TV e il Web): occorrerà un’ulteriore riflessione.

2. A nostra insaputa, si è sgretolata la costruzione e la narrazione a cui aveva lavorato per tempo P. Bersani. Il suo progetto è entrato in crisi in tutta la sua estensione. In primo luogo proprio nel segmento centrale e fondamentale: il suo PD. Questo ha retto meno di quanto sembrasse alle conseguenze della sua partecipazione alla devastante politica di destra del governo Monti, seguita da una sua moderata e pasticciata presa di distanze persino dai provvedimenti più odiosi (declamati orgasmicamente come “giustamente antipopolari” da Casini, Monti e i loro pifferai). In secondo luogo nel segmento alla sua sinistra: SinistraEcologiaLibertà. Sono stati sopravvalutati sia il suo peso reale sia la sua potenziale capacità di esprimere e raccogliere le forze più radicali della sinistra, alla ricerca di nuove vie verso una società basata su un nuovo modo di produrre e di vivere e attualmente antiberlusconiane e contro l’euromontismo. In terzo luogo, verso l’esterno, nel segmento alla sua destra: il cosiddetto “centro” liberal-liberista. Le recenti elezioni hanno spento il forno di riserva: è un bene. Avrebbe continuato a sfornare un pane dal sapore conosciuto: un sapore di destra.
Ora, a sua insaputa, Bersani è rimasto nudo.

3. Anche nell’analisi degli ultimi risultati elettorali non bisogna fermarsi solamente alle conseguenze immediate in termini di formazione di un governo. La cosa è sicuramente importante e se ne sta discutendo. Ma non si può distogliere l’attenzione dai guasti causati da venti anni di maggioritarismo a partire dalla versione “egemone” di Signorotto Segni fino all’attuale versione porcellona. I “comunicatori ufficiali” (giornalisti e pensatori indipendenti che distillano l’essenza dell’Interesse Generale per nutrire le menti grezze) presentano occasionalmente quei guasti come turbolenze “congiunturali” nello stesso tempo in cui agitano il babau del proporzionalismo come cancro “sistemico”.
Dunque, torniamo ai risultati. Per la Camera (voto dai 18 anni in su) è andato a votare poco più del 75% degli aventi diritto. La coalizione demo-progressista ha preso il 29,5% dei voti validamente espressi, la coalizione berlusconiana il 29,2% e il M5S il 25,6%. Ma (trascurando favorevolmente le schede bianche e nulle) le percentuali “rapportate all’intero corpo elettorale” sono 22,1% (PD e altri), 21,9% (PDL e altri) e 19,2% (M5S). Se poi consideriamo il peso relativo dei partiti maggiori ancora “rapportate all’intero corpo elettorale” abbiamo un 19,1% per il PD di Bersani, un 16,2% per il PDL di Berlusconi e un 19,2% per il M5S di Grillo. Gli altri partiti e movimenti o sono marginali o sono quasi nulla. Sempre in rapporto all’intero corpo elettorale il primo partito è quello degli astenuti (25%) e non il M5S (19,2%). E allora, chi ha vinto e che cosa? Se il PD ha fatto vincere risicatamente la sua coalizione perdendo circa tre milioni e mezzo di elettori e se il PDL ha fatto una “magnifica rimonta” perdendone sei milioni e trecentomila, di che cosa si discute? E la proposta del PD di legare il premio di maggioranza a una soglia del 35-40% dei voti conquistati? E quella del PDL (con l’UDC) a una soglia del 42-45%? Sono queste le “magnifiche sorti e progressive” della democrazia maggioritarista? Dappertutto le elezioni su base maggioritarista (per una partecipazione al voto generalmente scarsa e/o per vari meccanismi di premio) hanno sfondato qualsiasi limite riguardo alla rappresentatività dei governanti. Si chiamano maggioranze quelle che in realtà sono “minoranze bulgare”.
 
4. Si discute su come venir fuori da questo scombussolamento elettorale. E già si sentono vecchie musiche e si ballano vecchie danze. I guastatori di ieri si ripresentano oggi come i guaritori delle malattie che loro hanno causato e/o aggravato. Il nuovo (quando e dove c’è) viene apprezzato per snaturarlo; il nuovo finisce nelle grinfie del vecchio: le mort saisit le vif! – dicevano i francesi. Si sente aleggiare lo spettro del trasformismo: vecchio e storico vizio italiano che viene invocato in chiave salvifica e trasfigurato in virtù. La situazione è grave, ma non vi sono scorciatoie per uscirne. Andare alle elezioni al più presto (scelta che purtroppo non è stata fatta dopo l’ultimo governo Berlusconi) sarebbe meno grave che andarci poco più tardi in una situazione ancora peggiore.
Elezione dei presidenti di Camera e Senato, elezione di un governo istituzionale con il solo compito di fare una nuova legge elettorale (ed eventualmente la riduzione del numero dei parlamentari e l’eliminazione dei loro privilegi), elezione del Presidente della Repubblica, nuove elezioni e nuovo governo prima delle vacanze estive.
 

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