Rita Atzeri, dai Sottosuoli All’ombra dell’ultimo sole

5 Marzo 2013
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Gianna Lai

Oggi 5 MARZO ORE 21 al Minimax (Teatro Massimo)
 
ALL’OMBRA DELL’ULTIMO SOLE
di RITA ATZERI
liberamente ispirato al Decamenone
di Giovanni Boccaccio
 
Con Daniela Collu, Pier Paolo Frigau, Alessandra Leo, Alessia Marroccu, Alessandro Muroni
e con la partecipazione di Mirko Ariu
 
Cnzoni di Alessandro Muroni
Produzione Il crogiuolo
in collaborazione a Cedac Sardegna

Una giovane compagnia teatrale riesce finalmente a trovare una scrittura: il comittente desidera vengano messe in scena alcune novelle del Decamerone di Boccaccio, ma… ci vorrebbe un’idea orginale che purtroppo non si trova. “ In fondo in teatro non s’inventa più niente: si cita!” Si giustifica il povero regista di fronte alle perplessità dei suoi compagni di lavoro. Dunque propone alla compagnia una gara: seguendo la stessa logica dei dieci giovani che nel Decamerone per sfuggire alla peste si rifugiano in una villa fuori città e per passare il tempo si raccontano delle storie, ogni attore dovrà raccontare una novella alla maniera di un grande autore contemporaneo, andando liberamente a pescare dal cinema, dalla letteratura, dal teatro o dalla musica..
La gara scatena la competizione e suscita naturalmente rivalità tra gli attori, facendo tra l’altro affiorare problemi di relazione nell’unica coppia all’interno della compagnia. Il regista tenta di dominare la situazione, ma anche lui cade vittima del suo stesso gioco: tentando di introdurre nella narrazione dei riferimenti alla realtà dei nostri giorni, crea una gran confusione e mentre si compiace delle sue trovate nello stesso momento dimentica le indicazioni date ai suoi attori, i quali, confusi, non capiscono più il senso di ciò che avviene in scena.
Il pubblico si troverà quindi, di fronte ad una sorta di sgangherata ed esilarante prova aperta in cui il regista senza l’utilizzo di scene o artifici tenta di creare uno spettacolo “vero”, basato solo sul lavoro degli attori sognando invano un risultato alla “Dogville”, mentre il musicista - poeta, sfortunato fidanzato di un’aspirante prima attrice, compone le canzoni di scena cercando di ispirarsi a Leonard Cohen.
Comunque tra una baruffa e l’altra i nostri eroi riescono a mettere in scena le novelle del Boccaccio; quelle narrate da Landolfo Rufolo, Nastagio degli Onesti, Lisabetta da Messina, Girolamo e Salvestra, Federigo degli Alberighi, frate Cipolla e Guido Cavalcanti, con risultati di grande commozione e comicità.

 

L’attività di Rita Atzeri è intensa, ecco di Gianna Lai una recensione dell’ultima fatica di Rita Atzeri

 Sottosuoli
 

Da un racconto di Giorgio Todde, scritto  in occasione di monumenti aperti 2011, la  regia di “Sottosuoli” è del musicista Antonello Murgia. Lo spettacolo è stato rappresentato nei giorni scorsi a Cagliari presso lo Spazio Santa Croce, ed è a cura del Crogiuolo e del Teatro Dallarmadio.

In due sulla scena, la giornalista continua a fare le  domande  con tono distaccato, non partecipe, e continua a non capire, pur atteggiandosi a persona che tutto sa di questo mondo. Lui risponde a tono, non pretendendo di trovare comprensione, senza mai smettere tuttavia di tenere alta la voce e deciso lo sguardo. Semmai un pò scocciato, all’inizio, per l’inutile petulanza della donna a caccia di notizie, che sembra voglia accreditare anche agli occhi del pubblico la sua immagine di  uomo strano e diverso, privo di  cultura e senza alcuna conoscenza della realtà. Uomo pallido e ’stasìu’ Dante Caria, che vive nelle grotte e che però non ha paura delle interviste. La chitarra  di Antonello Murgia fa da sfondo ai dialoghi, e li accompagna con la sua musica, e subito lo spettatore entra divertito in questo mondo sotterraneo degli abitanti dei Sottosuoli a Cagliari, sepolcri di Tuvixeddu sopra Sant’Avendrace. Dante Caria  ritorna sempre al passato e racconta dei suoi avi, di suo padre nato e vissuto lì, di sua madre proveniente invece dalle grotte dell’Anfiteatro, di povertà e fatica quotidiana nell’indifferenza dei cagliaritani. Nell’indifferenza degli abitanti dei sottosuoli per il mondo di sopra. Ma una città si spalanca davanti agli occhi del pubblico, dentro lo spazio, a paragone, angusto del Teatro di via Santa Croce, non appena il protagonista esce dalla penombra delle grotte e si affaccia sul  ‘cortile’, nel mondo grande e luminoso davanti al mare. Ed è una sensazione che si trasmette anche alla superficiale giornalista, il primo segno di un’emozione di fronte al parlare semplice e decoroso del suo interlocutore, poco prima trattato con aria di sufficienza. Non ha smesso di essere pallido e sofferente e stasìu Dante, nella bella e così espressiva interpretazione di Fabio Marceddu, come le centinaia di cagliaritani che fin dalla notte dei tempi hanno vissuto dentro quelle  grotte. Anche ora che è stato costretto dal Comune a sloggiare, e trovare riparo nella Galleria di via Vittorio Veneto, e che è divenuto oggetto della curiosità della stampa. Su questo la giornalista lo interroga, brava Rita Atzeri nel saper rappresentare il cambiamento, il passaggio del suo personaggio da una certa convinzione ad un’altra , che  vuole sapere tutto su come sono i vicini di ‘casa’, e di  come diavolo si possa ancora vivere dentro i sepolcri, e così lontano dagli uomini, nell’era della televisione e del computer.  E Dante continua a stare al gioco,  mantiene il suo spiritito vivace, che si dimostra nella  forte volontà di opposizione alle ingiustizie, descrivendo con passione la bellezza folgorante  della città  vista dal mare, dalla terra, e dall’alto delle grotte,  dove è ancora umana la vita e gli abitanti sono solidali fra loro. Perchè il resto dell’abitato è quasi del tutto compromesso per sempre, deturpato dalla speculazione edilizia, dalle connivenze degli amministratori e dall’ignoranza degli abitanti. E sono sentimenti, discorsi, riflessioni, che si sviluppano attraverso l’uso della lingua  popolare dei vecchi quartieri  del centro storico, inframmezzata, arricchita  dall’intervento continuo del dialetto, delle espressioni colorite in casteddaiu, che danno vivezza al  racconto e lo inquadrano nel nostro tempo, restituendo allo sguardo del protagonista quel modo di intendere il riscatto di  chi  ha la ragione dalla sua parte e non si arrende. E che all’inizio aveva fatto rabbrividire la solerte e inappuntabile giornalista, con la sua lingua convenzionale  e standardizzata, ora trascinata a poco a poco dentro la storia, fino a fare proprio  il discorso di Dante, ad  ammetterne  le ragioni, a indignarsi con lui per come è sporco e brutale il mondo di sopra. E il cambiamento dei modi, dell’espressione e dei toni stessi della voce di lei , sembra togliere a Dante  quell’ultima ruvida scorza di duro isolamento che lo tiene lontano e a distanza da tutti, per aprirlo intenerito all’amore della giornalista, così sola e  desiderosa di nuovi rapporti e nuove relalzioni. A patto che,  naturalmente, sia lei a scendere nella grotta abbandonando quel mondo che si è portata appresso con tanta sicurezza al momento dell’intervista e  che, dichiara con trasporto, non rimpiangerà mai più.        
 

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