Il programma di Grillo? Un mix d’intenti scoordinati

21 Marzo 2013
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Gianfranco Sabattini

Giorno dopo giorno, dopo il v-day del Movimento 5 Stelle, compaiono i nomi (prima del macroeconomista Mauro Gallegati, dopo del fiscalista Gianni Marongiu) dei consulenti economici di Grillo; tutti, però, al di là della vicinanza al leader sul piano personale, hanno mancato sinora di indicare come “l’arcipelago delle posizioni” propagandate durante la campagna elettorale potrebbe essere ricondotto ad un quadro d’insieme idoneo ad assicurare alle proposte stesse una qualche possibilità d’essere realisticamente attuate. Per ora, così come sono formulate, promettono, se accolte, la realizzazione di un “paradiso in terra” per tutti coloro che hanno creduto in Grillo; ma si ha l’impressione che molti tra questi temano che lo scompiglio politico che il movimento ha creato possa solo assicurare un meno lusinghiero “inferno”.
Per capire il successo di Grillo occorre considerare alcuni fattori, non tutti nati dallo stato di disagio provocato dalla profonda crisi che ha colpito il Paese in questi ultimi anni e dalla politica di austerità del governo Monti. Il “grillismo” viene da lontano, nel senso che è l’esito finale della profonda crisi dell’economia nazionale, i cui prodromi più significativi sono da ricondursi alle scelte di politica economica compiute nel corso della Prima Repubblica e completati nel corso delle seconda. Tali scelte sono state aggravate dal fatto che la classe politica che le ha assunte e attuate non è riuscita a risolvere il problema del finanziamento della politica in modo corretto, optando per forme di sussistenza che hanno fatto da battistrada ad una crescente corruzione pubblica che ha contaminato col tempo tutti i settori del sistema sociale, sino a trasformare il costo della politica in un peso insopportabile per l’intero sistema sociale.
Se le scelte di politica economica dei primi decenni del dopoguerra non hanno dotato il Paese di una struttura produttiva idonea a fornirgli una capacità di confrontarsi sul mercato mondiale e di risolvere il problema annoso del Mezzogiorno, quelle della seconda Repubblica, caratterizzate dalla corsa alla privatizzazione delle proprietà dello Stato che costituivano l’economia pubblica, hanno seriamente compromesso il futuro economico del Paese. Nel contempo, tutte le scelte hanno concorso a creare le condizioni perché, con il sopraggiungere delle crisi a partire dagli anni Settanta (crisi petrolifera prima, del mercato immobiliare americano e dei conti pubblici nazionali dopo) e con la politica di austerità del “governo dei professori, che ha causato l’aumento della disoccupazione, salisse la protesta e la reazione dell’opinione pubblica contro la presunta inefficienza dei partiti tradizionali. Grillo ha capitalizzato sul piano elettorale il disagio seguito all’austerità, sfruttando la rabbia e la frustrazione contro la classe politica nazionale ed europea e raccogliendo intorno a sé un consenso molto eterogeneo, ma soprattutto erodendo in modo consistente l’elettorato che tradizionalmente si identificava con la sinistra.
In particolare, molti commentatori italiani ed esteri concordano sul fatto che il “discorso politico” di Grillo sia stato accolto soprattutto dai giovani delle “generazione 1000 euro”, esprimenti nel complesso la “piaga sociale” del precariato; concordano, però, anche sul fatto che il fenomeno del “grillismo” si presti male, per le sue caratteristiche interne, ad essere “incanalato” verso un’azione politica collettiva positiva per il Paese. Al riguardo, viene osservato che il successo elettorale del Movimento ha aggiunto allo scenario politico italiano, semmai ve ne fosse stato bisogno, l’ennesimo partito di “proprietà di uno solo al comando”; fenomeno questo destinato ad aggravare l’instabilità politica del Paese, dovuta alla proliferazione dei partiti, alla loro scarsa coesione interna e al succedersi di governi di coalizione perennemente instabili. Il Movimento, fondato nel 2009, alla sua prima partecipazione ad una competizione elettorale nazionale ha ricevuto un quarto del voto popolare, divenendo il più grande partito unico alla Camera dei Deputati. A preoccupare i commentatori riguardo alla possibilità che esso possa essere coinvolto nella costituzione di un governo stabile per l’Italia è il fatto che Grillo lo conduca come fosse una pertinenza del cortile di casa sua. Anche se esalta i meriti della “democrazia diretta” realizzata tramite Internet, il Movimento non ha strutture democratiche. Tutte le decisioni sono prese personalmente dal “padre-padrone”; l’organizzazione è priva di qualsiasi tipo di struttura, per cui non c’è modo di ricondurre il leader ad osservare le decisioni quand’anche fossero prese collettivamente.
Il programma politico del Movimento non prospetta alcun disegno futuro, ma solo una lunga lista di lamentazioni per l’immediato. L’organizzazione dello Stato è considerata burocratica, sovradimensionata e costosa; viene prevista, perciò, senza indicare il tipo di Stato che si vorrebbe dare agli Italiani, l’abolizione dei rimborsi elettorali, l’abolizione delle province, l’accorpamento dei comuni sotto i 5.000 abitanti, il perseguimento del risparmio energetico, la riduzione dell’impatto ambientale, l’abolizione delle scatole cinesi in borsa, l’abolizione della legge Biagi sul mercato del lavoro, la riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato, l’impedimento dello smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere a prevalente mercato interno, il blocco del ponte sullo stretto e della Tav in Val di Susa e moltissimo altro; scarsa o nessuna attenzione per gli esiti dell’attuazione del programma sui livelli occupazionali e sull’equità distributiva. In generale, il Movimento nel suo programma economico enfatizza gli interessi delle piccole e medie imprese; la sua proposta per rimediare agli esiti indesiderati della globalizzazione non è la sua regolazione, ma il rafforzamento autarchico dello stato-nazione, con la conseguente fuoriuscita dell’Italia dall’area dell’euro. Alla luce dei propositi elencati nel programma elettorale, della mancata indicazione dei processi attraverso i quali perseguirli e dei prevalenti atteggiamenti assunti dal suo “lider maximo” nelle prime fasi di avvio della nuova legislatura c’è di che preoccuparsi per il pericolo, molto concreto, che il Movimento, anziché favorire la soluzione dei mali del Paese, possa aggravarli e possa finire per esprimere solo una protesta populista, eversiva e reazionaria.

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