L’eclissi del parlamento

22 Dicembre 2013
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Gaetano Azzariti

Al fine di favorire una riflessione sulle tendenze istituzioali ecco un interessante editoriale  tratto da Il Manifesto del 16.12.2013

Cos’altro deve suc­ce­dere prima che ci si ponga seria­mente il pro­blema del ruolo del Par­la­mento? In que­sta legi­sla­tura è esplosa — nel disin­te­resse dei più — la sua crisi. Un organo par­la­men­tare impo­tente, inca­pace di assol­vere alle sue essen­ziali fun­zioni costi­tu­zio­nali.
Prima il pastic­ciac­cio brutto dell’elezione del capo dello Stato, che si è con­cluso con un fatto mai acca­duto in pre­ce­denza: la rie­le­zione per un nuovo set­ten­nato del vec­chio Pre­si­dente. Non può stu­pire più di tanto allora il raf­for­za­mento del potere del capo dello Stato di fronte al vuoto deci­sio­nale del Parlamento.

In seguito la vicenda della for­ma­zione del governo delle lar­ghe intese. Sul piano isti­tu­zio­nale l’effetto prin­ci­pale è stato quello di ren­dere l’esecutivo l’unico tito­lare della fun­zione di indi­rizzo poli­tico e di ren­dere super­fluo — anzi inop­por­tuno — il con­fronto par­la­men­tare. Una volta defi­nito l’accordo in sede gover­na­tiva, esso non può certo essere rine­go­ziato in Par­la­mento.
Rimane un’unica pos­si­bi­lità alle Camere: quella di non fare. Le ragioni dell’immobilismo par­la­men­tare sono diverse e com­plesse, ma è evi­dente che un organo che può, nei fatti, eser­ci­tare solo un potere di veto, prima o poi sarà sopraf­fatto. E così è avve­nuto. Nel caso della legge elet­to­rale, impan­ta­nata nella discus­sione par­la­men­tare e para­liz­zata dagli inte­ressi con­trap­po­sti dei vari par­titi e movi­menti poli­tici pre­senti in Par­la­mento, inca­paci di giun­gere a una sin­tesi; alla fine s’è tro­vata una solu­zione con la pro­nun­cia della Corte costi­tu­zio­nale. Un inter­vento assai oppor­tuno, reso neces­sa­rio dall’inerzia del legi­sla­tore e dalla palese lesione della lega­lità costi­tu­zio­nale. Ora, in molti appa­iono risen­titi della deci­sione del giu­dice delle leggi, ma fareb­bero meglio a inter­ro­garsi sul com’è potuto avve­nire che un Par­la­mento non fosse in grado nep­pure di defi­nire le pro­prie regole costi­tu­tive.
Da ultimo, la legge sul finan­zia­mento ai par­titi poli­tici. Una legge che — a fatica — era in discus­sione al Senato e aveva già pas­sato il vaglio della Camera. La que­stione del finan­zia­mento delle for­ma­zioni poli­ti­che è, in verità, assai con­tro­versa, e dun­que sarebbe stato utile, per giun­gere a un com­pro­messo tra le diverse con­ce­zioni, un con­fronto, anche acceso, in seno all’organo della rap­pre­sen­tanza. E invece la debo­lezza del Par­la­mento, tanto più su un tema così sen­si­bile, ha reso pos­si­bile al Governo, di inter­ve­nire in sua vece.
Non sem­bra che il Par­la­mento abbia gran­ché pro­te­stato per que­sto inter­vento sosti­tu­tivo del governo. Eppure ne avrebbe avuto motivo. Avrebbe infatti dovuto riven­di­care il pro­prio potere e ricor­dare che il governo, in assenza di una delega del Par­la­mento, può ema­nare decreti aventi valore di legge, solo «in casi straor­di­nari di neces­sità e d’urgenza». Avrebbe almeno dovuto chie­dere quale fosse l’urgenza di inter­ve­nire anti­ci­pando la discus­sione già pre­vi­sta al Senato. Non lo ha fatto, e forse se ne intui­sce la ragione: per timore di vedersi rispon­dere che l’«urgenza» era det­tata dall’«impotenza» del Par­la­mento.
Un Par­la­mento preso a schiaffi. Che lascia il passo agli altri poteri (dal Pre­si­dente della Repub­blica al governo, pas­sando per la Corte costi­tu­zio­nale), ma inca­pace di rea­gire. A volte addi­rit­tura sol­le­vato dalla sup­plenza di altri organi, che ese­guono il lavoro “sporco” al quale esso è isti­tu­zio­nal­mente pre­po­sto, ma che non rie­sce più a svol­gere.
Ed è così, mesta­mente, che si assi­ste allo svuo­ta­mento pro­gres­sivo delle forme rap­pre­sen­ta­tive della nostra demo­cra­zia costi­tu­zio­nale. Ma quanto può soprav­vi­vere una demo­cra­zia senza un Par­la­mento?
Distratti dal chiac­chie­ric­cio e dalla lotta per con­qui­stare un posto al sole da parte del nuovo esta­blish­ment, si rischia di non vedere il peri­colo più grande: la dege­ne­ra­zione del parlamentarismo.

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