Essere prof. non basta per fare buona politica

17 Marzo 2014
2 Commenti


Gonario Francesco Sedda
1. È generale la richiesta di competenza in politica. Né si può negare che il buon governo abbia bisogno di “competenze”. Tuttavia l’esperienza (anche quella recente) ha mostrato che non bastano le competenze per fare buona politica.
La “politica” non sembra essere un contenitore vuoto da riempire di competenze, ma è essa stessa una competenza di carattere sistemico (una “metacompetenza”). La politica competente è una costruzione soggettiva che incorpora le competenze settoriali non per assumerle in quanto tali, ma per metterle in relazione tra di loro, per superare la loro separatezza (e dunque la loro parzialità) in un processo orientato al raggiungimento di uno o più obbiettivi o di un fine generale. La competenza della politica opera sul terreno dell’intera società, la competenza strumentale interessa un settore o addirittura una parte di esso. Le “competenze” di per sé non servono neppure a salvarci dalla cattiva politica, come abbiamo visto anche nel recente passato.
Si può sconfiggere la cattiva politica solo con la buona politica.
2. Sono frequenti i lamenti per la farraginosità, per la contraddittorietà, per la lacunosità, per l’iniquità, per il rapido invecchiamento di molte leggi.
Molti pensano che tutto dipenda dalla incompetenza dei “politici” che fanno le leggi; ma quasi tutte (o forse tutte) le leggi sono fatte proprio … da “tecnici”, da illustri professori e famosi professionisti, direttamente presenti in Parlamento o chiamati come consulenti!
Il fatto è che se la buona politica deve essere competente non per questo il “competente” è automaticamente un buon politico.
Comunque la competenza del “politico esperto” non è certificata solamente dall’esercizio privato o istituzionale di una professione, ma può derivare dallo studio e dalla ricerca sistematica non finalizzata all’esercizio professionale.
Essere un ottimo burocrate, un ottimo professore, un ottimo professionista non vuol dire essere automaticamente un buono od ottimo politico.
Le competenze della politica sono molto più ampie e più ricche rispetto a qualsiasi ambito specialistico-professionale. Lo specialista raramente trova nella propria conoscenza strumentale una base sufficiente per svolgere efficacemente il ruolo di politico.
Rispetto all’ampiezza dell’intervento politico e fuori dall’ambito ristretto della competenza strumentale, lo specialista, il “tecnico”, il professionista si trova a prendere decisioni “come un dilettante” al pari di altri tecnici o dei “politici esperti”. Insomma i “tecnici” devono imparare una “nuova professione” che può comprendere anche la loro competenza specialistica, ma che non è automaticamente garantita da quest’ultima.
Per costruire una strada servono le competenze strumentali dell’ingegnere, ma prima ancora occorre decidere se farla e in linea di massima come farla (in base ai bisogni e nel rispetto dell’ambiente), dove e quando farla. Occorre cioè un “processo politico” con molti soggetti, dove non solo le competenze, ma anche i bisogni e i valori hanno un peso.
Infine, dal mondo della tecnica raramente arriva un’unica risposta per lo stesso problema, a dispetto della pretesa di oggettività e di razionalità. Chentu concas, chentu berrittas: il detto vale anche per i tecnici. E allora chi decide e in base a che cosa?
3. I “tecnici” non sono mai neutrali, neanche nei casi rari in cui sembrano svolgere un ruolo di equilibrio tra parti in contrasto.
I “tecnici” sono politici nascosti dietro lo scudo di una presunta neutralità delle competenze. L’invocazione del loro salvifico intervento è la foglia di fico per nascondere l’indecenza di una politica che non vuole o non sa o non è in grado di assumersi le proprie responsabilità.
Il discorso corrente sulla competenza tecnica è intriso di elementi ideologici in chiave egemonica, tende a convincere che sia “naturale” soddisfare gli interessi del blocco dominante sempre e comunque (con la monarchia o la repubblica, con la dittatura o la libertà politica, col proporzionale o col maggioritario, con molte o poche crisi di governo). Al “popolo” viene sempre e comunque promesso un secondo tempo che non arriverà mai o, se arriverà, sarà maledettamente avaro. Dopo il “conservatorismo compassionevole” sembra essere arrivato il “riformismo compassionevole” che pretende di essere di “sinistra” perché vorrebbe essere “vicino ai deboli”. Che i “deboli” possano diventare “classe dirigente” in sostituzione di chi finora ha sempre comandato è ormai diventato un pensiero proibito.
 
 
 

2 commenti

  • 1 in giro con la lampada di aladin… sulle competenze | Aladin Pensiero
    17 Marzo 2014 - 08:40

    […] prof. non basta per fare buona politica di Gonario Francesco Sedda, su Democraziaoggi Essere prof. non basta per fare buona politica 17 Marzo 2014 di Gonario Francesco Sedda, su […]

  • 2 Renato Monticolo
    17 Marzo 2014 - 11:20

    Procedendo secondo la logica della impostazione non si può arrivare se non a quelle conclusioni : essere professori non significa essere buoni politici. Giusto! Solo che al primo corno del dilemma, essere professori, manca l’aggettivo del secondo, buoni.
    Proviamo ad immaginare la differenza tra “professore” e “buon professore”.
    Abbiamo “professori di Pedagogia” che non hanno mai incontrato l’alunno del quale vanno discutendo con sicumera. Abbiamo “professori di Analisi Clinica” che non frequentano da anni le corsie di un ospedale . Abbiamo “professori di Economia” ai quali non affideremmo mai la gestione dei nostri risparmi. Abbiamo “professori di Storia dell’Arte” che confondono un autentico Morandi con un esercizio carnascialesco di studenti livornesi. Potremmo definire costoro “buoni professori”? Certo che no. E come potremmo sperare che da essi possano venire “buoni politici”?
    Forse quindi il problema di fondo sta nella “qualità autentica” dell’elemento umano, non solo nel titolo accademico che non sempre ne garantisce la presenza.

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