Nessun rilancio del PD, senza apertura a sinistra

31 Ottobre 2008
3 Commenti


Benedetto Ballero

Il Partito Democratico versa oggi in una situazione di evidente difficoltà. Ciò sia a livello nazionale, per effetto della linea politica e soprattutto per le scelte elettorali del segretario Veltroni, sia soprattutto in Sardegna, ove si è creata una situazione di completa paralisi, che si riflette su tutta la coalizione di Governo, o meglio su quella che, elettoralmente, era stata la coalizione di governo, e che oggi non c’è più.
La nascita del PD, tuttavia - dopo la positiva esperienza dell’ULIVO (coprendente con  DS e  DL, anche Socialisti e Repubblicani europei) le cui liste in precedenza, nelle elezioni europee ed in quelle regionali del 2005, avevano conseguito, senza rompere le alleanze, risultati elettorali non inferiori a quelli del PD di Veltroni - è avvenuta sinora in modo inadeguato, perché non ha saputo raccogliere tutte le forze realmente progressiste ed autonomiste del riformismo italiano e sardo, e si è concretizzata in una burocratica fusione tra DS e Margherita, con l’aggiunta, in Sardegna, del movimento del Presidente della Regione Soru.
Nei giorni scorsi su La Nuova Sardegna Giorgio Macciotta ha indicato come soluzione della crisi del PD un significativo cambio generazionale, ed un profondo rinnovamento del gruppo dirigente. Antonello Cabras, dal canto suo, in una successiva intervista, ha indicato come via d’uscita la celebrazione di un congresso regionale, dopo aver aperto la campagna delle iscrizioni, e lo svolgimento di elezioni primarie per tutte le scelte da effettuarsi per la guida del partito, ai vari livelli, oltre che per la guida della Regione, delle Province e dei Comuni di maggior rilievo.
Macciotta sottolineava, inoltre, l’attuale non legittimazione, al governo del partito, di un comitato regionale eletto per tutt’altra finalità, e Cabras evidenziava l’anomalia costituita dal fatto che il partito oggi in Sardegna non ha ancora alcun iscritto.
Neppure Cabras, Soru, Fadda, Macciotta e Barracciu cioè, e con loro tutti gli altri uomini e le donne che ora parlano per il PD, sono oggi  iscritti al partito.
Le condivisibili indicazioni dei due autorevoli esponenti del PD prima citati, se attuate, potrebbero certo avviare un rilancio del loro partito.
Ma perché il rilancio sia effettivo e reale - e porti almeno in Sardegna, riaffermandosi le tradizioni autonomistiche, ad un salto di qualità che consenta, non di veleggiare intorno al 30% del consenso elettorale, ma di proiettarsi verso ed oltre il 40% - occorre che a quanto Macciotta e Cabras indicano si aggiunga un obbiettivo importante, assai elevato, un vero salto di qualità.
Occorre una rinascita che sia in grado di coinvolgere, davvero, tutte le forze realmente progressiste ed autonomiste del riformismo sardo, rivolgendosi paritariamente anche ai laici, ai liberaldemocratici, ai socialisti, agli ambientalisti, ai verdi, alla sinistra democratica, ai sardisti, in una parola a tutti i riformisti democratici che oggi non sono nel PD, compresa parte dei radicali.
In mancanza di un tale ripensamento, ed in mancanza anche di un ripensamento generale delle alleanze, il PD potrà anche riprendere una qualche capacità di iniziativa politica, ma certo si avvierebbe, in isolamento, ad una sconfitta alle prossime elezioni regionali, quale che sia, Soru od altri, il candidato Presidente che unilateralmente presenterà agli elettori.
Del resto l’attuale condizione di paralisi (e di isolamento) del PD è riscontrabile anche dall’esame dalla produzione legislativa della Regione, pur se è evidente che la sua valutazione non può essere solo un fatto numerico. Anch’esso, tuttavia, è rilevante e non certo insignificante.
Ebbene pur prima del 2001, quando è stato aumentato il numero delle materie di competenza legislativa delle regioni, e quindi quando le competenze erano minori, la legislatura di centro sinistra precedente all’attuale, Presidente Palomba, nonostante le molteplici crisi, aveva visto nei primi quattro anni, e cioè sino all’ottobre del quarto anno, l’approvazione di 148 leggi. Il record della produzione legislativa, tuttavia, si è avuto con la Giunta presieduta da Mario Melis, nella quale, nello stesso periodo, furono approvati 210 provvedimenti legislativi.
Il record negativo, nonostante l’intervenuto incremento delle materie nel 2001, si era sinora avuto con la scorsa legislatura di centro destra che, nello stesso periodo, aveva approvato appena  81 leggi. Ora la paralisi del PD ha battuto tale record negativo: in questa legislatura sono stati approvati, sinora, appena 76 provvedimenti legislativi. In assoluto il minor numero da sempre. Al PD occorre, perciò, una svolta reale ed effettiva, così come prima indicato, e non di mera facciata.

3 commenti

  • 1 Sergio Ravaioli
    31 Ottobre 2008 - 14:30

    Caro Ballero,
    i tuoi ragionamenti sono giusti e condivisibili. Tu però, in numerosa compagnia a dire il vero, prescindi, rimuovi un macigno che affligge il PD Sardo e che si chiama Renato Soru.
    Non si tratta di personalismi ma, come ha lucidamente ed impietosamente analizzato Andrea Raggio su queste colonne il 10 settembre scorso ( http://www.democraziaoggi.it/?p=266 ), di alternativa tra “democrazia autoritaria” e “democrazia partecipativa”, di distinzione tra “culture politiche diverse” - ed anzi opposte – che non possono coesistere dentro uno stesso partito (io direi neanche dentro una coalizione) se non causando i i guasti che vediamo. E che rischiano di far sì che la Sardegna si avvi a conoscere un’altra lunga stagione di “democrazia autoritaria”, questa volta da parte dei titolari, e cioè da parte della destra.
    Quindi liberarsi dall’opzione Soru è “conditio sine qua non” per dare al PD la possibilità di esistere anche in Sardegna e di crescere sulle radici e sui valori, sulla “cultura politica” costruita in oltre un secolo dal riformismo socialista e cattolico.
    Avrà il PD la forza per liberarsi da questa camicia di forza in cui si è cacciato?
    Lo spero, ma no ci credo. Non credo possa avvenire prima della Caporetto che attende il candidato presidente Soru (Veltroni dixit), e con lui il PD, alle elezioni della prossima primavera.
    E intanto?
    Aspettiamo tutti questa catarsi stando seduti sul divano e facendo il TV per questo o per quello (sempre che riusciamo a non addormentarci!)?
    Lasciamo la Sardegna per altri 5 anni (se non 10) alla “democrazia autoritaria” nella sua versione DOC ?
    Oppure, in attesa che la purga di cui ha bisogno il PD produca il suo effetto, ci organizziamo per mettere assieme comunque le forze riformiste che in Sardegna sono tante e sparpagliate (ogni volta che faccio un elenco dimentico sempre qualcuno).
    La legge elettorale Regionale non è così penalizzante come la Nazionale per le formazioni minori (almeno nei collegi provinciali). Ogni partito potrebbe mantenere la propria identità e ritrovarsi attorno ad un candidato Presidente emerso da primarie vere (dico vere: senza camuffi!).
    Azzeccando i candidati delle varie liste (per le regionali rimane la preferenza) e con un buon candidato Presidente si potrebbe anche vincere!
    L’attuale marasma tra tutte le forze politiche (non solo di sinistra) può essere visto come una formidabile occasione per costruire un nuovo ordine, in una Regione sostanzialmente estranea alla cultura di destra.
    Ci vuole coraggio!
    E per ora bisogna dare atto a Palomba di essere stato l’unico politico di rilievo nello schieramento di centrosinistra in Sardegna venuto allo scoperto , dichiarando Italia dei Valori indisponibile a sostenere la candidatura di Soru.
    Altri coraggiosi cercansi! Disposti a lavorare sulle cose che uniscono e non su quelle che dividono.

  • 2 Carlo Dore jr.
    31 Ottobre 2008 - 21:57

    Per favore ing. Ravaioli, basta con il “Soru delendus est”!
    I problemi sono altri: basta accendere un telegiornale per accorgersene!

  • 3 GIORGIO COSSU
    1 Novembre 2008 - 01:36

    Ecco una testimonianza chiara dell’evasione rispetto alle scelte scomode del Sorismo, “il ben altro”, di fatto la rinuncia alla politica che ha come compito di incidere sui fatti, l’evasione in “ben altro”, immagino sia la manifestazione sulla 133, la ricerca e la formazione, la crisi della finanza e dell’ambiente. Bene ma perché non la legge sulla ricerca in cui l’Università compare tra gli enti regionali subordinata alla Giunta, non il blocco dei fondi 4 milioni ai 6 centri di competenza tecnologici universitari, per far confluire tutto in Sardegna Ricerche cui vanno 200 milioni e anche hike & bike, non le grandi opere 40+40 milioni per Betile e Monteponi paracadutate senza funzioni ed effetti positivi, non l’assenza di un piano industriale, non i 180+600 milioni per l’assistenza per coprire l’assenza di crescita e gli effetti di rigore senza piani? e sui 700 dei 199 progetti integrati dispersi in agriturismi e coesione sociale si può discutere? si può dire che si è smarrita l’idea ancora esile della programmazione e il ruolo pubblico per l’improvvisazione e il centralismo? che si blocca la PA e non si spendono fondi per l’accentramento, che tutto questo è fuori da una cultura del pluralismo istituzionale? che le 800 intese non sono un segno di trasparenza ma la pezza maldestra all’eccesso di vincoli e all’assenza di piani di zona per la tutela del territorio come bene pubblico e non come funzione estetica? risultato di assenza di cultura di progetto e del ruolo pubblico nello sviluppo, di una linea liberista e insieme statalista che impone vincoli e comandi, una piramide rovesciata inversa al processo democratico. Affrontare problemi su cui si può influire, a livello della propria sfera di azione ed influenza è la dimensione politica corretta, da situare dentro un quadro teorico complessivo che vede le connessioni del sistema locale con i sistemi esterni, che non si illude di congelare i bisogni nello stile cubano con l’identità degli alberghi diffusi.
    Ravaioli e Ballero non evadono ma stanno dentro la vecchia prassi della politica come rapporto tra partiti e identità della mediazione che trascura di discutere le radici di quei problemi stessi e dimentica i problemi se non come gestione ex-post, disposti ad accordi con Maninghedda e Sanna, agli errori di metodo del ‘93 di accordi elettorali svaniti che hanno poi condotto un CS debole e chiuso nelle mani di Soru. Lo stesso errore di PRODI con l’accordo faticoso dell’Unione, in cui i “ben altristi” ci hanno portato per la seconda volta nelle mani di questa destra scombinata e reazionaria. A questo conduce il benaltrismo, la diffusa abitudine al meno peggio, con diversi modi: dalla violenza giacobina contro tutti gli altri e avversari fittizi, a quella contro gli esterni e per difesa del campo, quella contro gli interni, quella che per la supposta bontà del rigore o dell’identità o del paesaggio è disposta a transigere su istituzioni, regole, metodi e costumi, quella moralista che “gli sta bene una lezione ai partiti” e non si accorge dei gruppi e dei gregari e conversioni. Di questi fatti che succedono intorno a noi e su cui possiamo influire dobbiamo discutere prima e meglio del “ben altro” che succede lontano per fare politica.

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