I sogni imperiali di Putin

12 Settembre 2014
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Gianfranco Sabattini

Sul numero di agosto di “Limes” di quest’anno in un articolo dal titolo significativo, “Quel che i rubli non possono comprare”, Giorgio Arfaras, presidente del Comitato Investimenti della SCM SIM Spa, una società d’intermediazione mobiliare specializzata in consulenza in materia d’investimenti, spiega, in termini convincenti, i motivi che agitano la Russia di Putin e la natura degli strumenti che questi va predisponendo per realizzare i propri obiettivi; fra questi, in particolare, quello di realizzare, attraverso l’Unione Economica Euroasiatica (UEE), un’area valutaria del rublo, da usare in contrapposizione alle aree valutarie di ben altro spessore, quali quella del dollaro o dell’euro.L’UEE è un’unione politica ed economica tra Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Russia e altri Paesi ex-sovietici, nata il 29 maggio 2014. Il progetto, ispirato a quello dei Paesi dell’Unione Europea, è stato annunciato nell’ottobre del 2011 dall’allora presidente russo Vladimir Putin, che, con i presidenti di Bielorussia e Kazakistan, ha sottoscritto nel novembre di quell’anno un accordo per la costituzione dell’Unione entro il 2015: nella prospettiva di realizzare una futura integrazione politica e la creazione di una Commissione eurasiatica, modellata sulla base della Commissione europea, e di un mercato eurasiatico a somiglianza del mercato unico europeo.
In Russia è condivisa l’idea che, oltre agli Stati ex-sovietici, l’UEE possa estendersi anche ad altri Paesi storicamente o culturalmente legati alla Russia, come la Finlandia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Bulgaria, la Mongolia e la Cina, che potrebbero unirsi in un’unione federale, nella quale il russo verrebbe usato come lingua di comunicazione e cooperazione economica. Secondo Vladimir Putin, l’UEE sarà costruita sui “migliori valori dell’Unione Sovietica”, mentre secondo alcuni critici, il progetto mira solo a restaurare l’”impero sovietico”.
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, i Paesi che ne facevano parte hanno continuato ad usare il rublo; ma, per via dell’inflazione persistente, dovuta al finanziamento monetario della spesa pubblica, in tutti i Paesi dell’ex URSS, oltre al rublo circolava anche il dollaro; questo, come Arfaras osserva, svolgeva il ruolo plurimo di moneta di scambio, di unità di conto e di fondo di riserva. Si trattava di una condizione di debolezza per un Paese, come la Russia, aspirante a riguadagnare l’antica posizione di forza sul piano internazionale. All’originaria debolezza delle sue finanze pubbliche, il Paese eurasiatico ha posto rimedio con la forte ascesa del prezzo del petrolio, che, “dagli inizi degli anni Duemila ha consentito di finanziare la spesa pubblica e di avere cospicui avanzi commerciali”. Ciò è valso a fondare l’idea che l’area valutaria del rublo potesse costituirsi con la realizzazione del progetto dell’UEE; sennonché, il fatto che l’economia della Russia e degli altri Paesi ex URSS si caratterizzassero come “economie delle materie prime” (prevalentemente petrolio), ne rivelava una sostanziale debolezza rispetto ad altri Paesi emergenti, come ad esempio la Cina
Mentre la Cina è riuscita a realizzare, non senza squilibri interni, un’ampia base industriale diversificata, avvalendosi di un notevole volume di investimenti esteri e di consistenti trasferimenti di tecnologie avanzate, la Russia è cresciuta solo nel settore energetico, senza diversificare la propria base produttiva attraverso la costituzione di un settore industriale avanzato, mancando di promuovere uno sviluppo indipendente dal settore energetico. Putin, osserva Arfaras, per contrapporsi agli USA ed all’Unione Europea, è stato invece costretto a diversificare i redditi da esportazione di materie prime, orientando il flusso delle esportazioni all’approfondimento dell’interscambio con la Cina, attraverso grandi contratti espressi in dollari, nella prospettiva, però, di poterli denominare in un futuro sufficientemente prossimo in termini di rubli o di renminbi; fatto, quest’ultimo, che, secondo Arfafas, non sarà semplice.
Infatti, perché una moneta possa svolgere anche il ruolo di fondo di riserva all’interno di una determinata area valutaria, occorre che il Paese che la emette sia in grado di preservarne costantemente il valore contro qualsiasi pericolo di instabilità; ciò, tenuto conto delle modalità con cui si svolgono attualmente le relazioni internazionali, può essere garantito dalle seguenti cinque condizioni: che il Paese emittente sia dotato di una forza militare sufficiente a scongiurare qualsiasi forma di attentato alla stabilità economico-finanziaria dell’area; che lo stesso Paese offra la certezza del diritto a tutti gli altri Paesi dell’area; che garantisca loro un vantaggio tecnologico rispetto ai Paesi delle aree concorrenti; che assicuri una sufficiente autonomia alimentare; che, infine, sia nella condizione di poter organizzare all’interno dell’intera area dei mercati finanziari efficienti, in grado di “diluire” il rischio connesso allo svolgersi delle relazioni economico-finanziare. Delle cinque condizioni, osserva Arfafas, la Russia e la Cina ne soddisfano solo una, USA e Unione Europea tutte; se l’Europa non è in grado di intervenire prontamente a tutela della propria area valutaria, gli USA lo possono fare. Per questa ragione, il rublo rispetto al dollaro si riduce ad essere una moneta col solo ruolo di mezzo di scambio e di unità di conto, con un partner importante come la Cina, ma non molto più accreditato della Russia sul piano monetario.
Sebbene l’economia reale di questi due ultimi Paesi sia divenuta ragguardevole, non si conforma però in modo efficiente e credibile con l’economia finanziaria; poiché quest’ultima mobilita gli investimenti, tale ruolo può essere svolto se la moneta che ne è il sostrato può, a sua volta, svolgere anche la funzione di riserva di valore. Quest’ultima funzione, però, può divenire effettiva, solo in presenza della certezza del diritto, che Russia e Cina, per via delle loro strutture istituzionali autoritarie, non sono in grado di garantire; per questa ragione, l’attrattività degli investimenti esteri in Russia e Cina tende a risultare tendenzialmente contenuta.
Per tutti questi motivi, gli USA, secondo Arfaras, possono investire all’estero dieci volte più di Russia e della Cina messe insieme. A ciò va aggiunto il fatto che gran parte dei surplus commerciali accumulati da questi ultimi Paesi sono denominati in dollari e, poiché sono solo parzialmente investiti in attività produttive, prendono normalmente la via della sottocrizione di titoli del debito pubblico altrui (prevalentemente di buoni del Tesoro degli USA). In questo modo, perciò, Russia e Cina concorrono a sostenere l’area valutaria della quale vorrebbero diventare aree alternative di riferimento.
Stando così le cose, osserva giustamente Arfaras, le pretese di Putin di ricuperare la vecchia aspirazione imperialistica sovietica può contare solo su “polveri bagnate”; ciò consente una più realistica valutazione dell’atteggiamento della Russia nei confronti del Paese, l’Ucraina, che al presente è nelle mire del Cremlino. La sua riconduzione all’obbedienza di Mosca non ha alcun significato economico; anzi, se si considera che l’Ucraina non è un Paese esportatore di petrolio, la sua “conquista” sarebbe destinata a trasformarsi in un ostacolo alla realizzazione del progetto della Russia di Putin. Di conseguenza, l’interesse russo a “fagocitare” l’Ucraina ha solo una “motivazione di potenza”, che potrebbe costare caro alla Russia; questa, infatti, mancando di destinare il flusso di risorse derivanti dalla stipulazione dei contratti di fornitura di petrolio alla Cina alla diversificazione della propria economia, potrebbe in prospettiva finire con l’incastrarsi nel “cul de sac” della stagnazione, che già è costata il crollo dell’URSS e della quale la nuova dirigenza russa continua ad essere vittima, con la conseguenza di veder svanire nel nulla l’illusione imperialista del putinismo.

1 commento

  • 1 giovanni43
    13 Settembre 2014 - 11:46

    buon intervento sulle condizioni attuali della Russia. Ora manca un esame politico dell’atteggiamento politico,militare ed economico ,dell’Occidente verso la Russia dopo la caduta dei soviet!

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