La triste Champions League della politica italiana (2t)

13 Giugno 2015
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Simone Angei

Del sempre più intenso parallelismo linguistico fra politica e calcio ho già detto, ed anche di come si seleziona il candidato in funzione non della soluzione dei problemi, ma della vittoria purché sia. Questo sistema, questo meccanismo di selezione del “vincitore”, tuttavia, non sta forse pericolosamente restringendo gli spazi e il piacere per la partecipazione al mondo politico?
Da un lato, per essere eletti negli organismi istituzionali, per “entrare in squadra” non sono necessarie particolari doti, è sufficiente un’alta propensione alla sudditanza e capacità di ben servire il proprio capobastone; dall’altro lato, invece, questi stessi soggetti eletti sono esclusi, insieme a tutti gli altri cittadini, dall’esercizio attivo della propria partecipazione alla vita politica, che rimane appannaggio dei veri “vincitori”.
Quello che si è perso, nel mezzo, è lo stesso concetto di democrazia rappresentativa e partecipativa, ove il risultato elettorale è determinato da una omogeneità di interessi tra l’eletto e l’elettore, il quale desidera poter incidere con la propria volontà sulle scelte della comunità in cui vive, servendosi appunto di un medium.
Ora invece, non solo si è recuperato un pericoloso concetto di democrazia plebiscitaria, che parla alla pancia delle persone, ma si sta pericolosamente materializzando una “democrazia calcistica”, fatta di “vittorie e sconfitte elettorali” fini a se stesse, o meglio, indirizzate ai gattopardeschi obiettivi del “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, nella quale il cittadino non è più membro attivo ma succube e passivo spettatore da salotto, al più pronto a inveire davanti al televisore e scommettere sul cavallo vincente.
Una situazione che getta sul futuro delle istituzioni non poche ombre, lasciando passare pochissimi spiragli di luce.
Uno di questi spiragli può e deve essere una seria controffensiva culturale, che sappia mettere nuovamente all’ordine del giorno i valori della condivisione e l’amore per la partecipazione, restituendo responsabilità e capacità di determinare l’esito delle proprie azioni e del proprio futuro alle persone comuni.
Una controffensiva culturale che sappia ripartire dalle scuole, con particolare attenzione ai numerosi fenomeni che in questa così delicata fascia esistenziale rischiano di compromettere quello che sarà il cittadino di domani e che non dimentichi i campi sportivi dove, soprattutto nei piccoli e grandi comuni, questi ragazzi ricevono il primo impatto con le aspettative del mondo esterno: violenza, agonismo, frustrazione che tuttavia possono e devono diventare socializzazione, rispetto, partecipazione.
Una controffensiva che non può non sfidare questa concezione del mondo sul piano dell’elaborazione culturale. Troppo spesso, quando spesso ci facciamo portabandiera della migliore democrazia, dimentichiamo che non è sufficiente costruire un cartello elettorale senza arte né parte pochi giorni prima del voto, con la speranza di “giocarsela e vincere” o, almeno, evitare di “finire in B”.
La vera “vittoria” non è elettorale ma sociale e va costruita e praticata sul piano della condivisione delle idee, dei percorsi, degli obiettivi, non potendo che passare per l’impegno a stretto contatto con quei soggetti che si pretende di voler rappresentare, senza tuttavia dimenticare che questo impegno non può essere fatto senza una precisa assunzione di responsabilità, anche politiche e personali, da parte di tutti coloro che negli anni hanno messo in piedi tentativi fallimentari e ancora oggi si ostinano a riproporre ricette non più adeguate.
Solo in questo modo, forse, quello spiraglio potrà ridare nuova luce alla nostra società, invertendo il flusso di contaminazione attuale e riportando ogni cosa alla sua giusta dimensione, politica e sportiva.

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