Diritti fondamentali e pareggio dei conti: quale bilanciamento?

14 Novembre 2018
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Andrea Pubusa

Lunedì si è tenuto a Cagliari un interessante convegno sullo “Stato sociale”, indetto da ANPI, Costat e Cidi, nell’ambito del “Mese dei diritti”.
La discussione ha investito ovviamente il rapporto fra diritti fondamentali, come il diritto alla salute, il diritto allo studio, il diritto all’assistenza (art. 32, 34 e 38 Cost.), e  pareggio di bilancio (art. 81 e 97 novellati).
I governi statali e regionali fino a un po’ di tempo fa si sono attenuti ad una lettura rigida delle norme sulla contabilità pubblica, dando prevalenza alle esigenze di bilancio sui diritti fondamentali. E ciò anche sulla base di una radicata giurisprudenza della Corte costituzionale che condizionava la soddisfazione effettiva dei diritti fondamentali alla sostenibilità finanziaria. In questo convincimento ha inciso, ulterioremente e negativamente, l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione.
Infatti, la modifica degli artt. 81 e 97 Cost. ha inteso ispirare il nostro ordinamento costituzionale ad una precisa concezione economica, quella neoliberista in versione tedesca, secondo cui la crescita consegue a tre fattori fondamentali: libertà dei mercati, politiche monetarie unicamente rivolte al controllo dell’inflazione e divieto per lo Stato di qualsivoglia intervento in deficit spending sull’economia. Di fatto, viene reso illegale il keynesismo e viene costituzionalizzata l’elaborazione della  Mont Saint Pelerin Society di Frederich Hayek, Milton Fridman e di altri importanti economisti, evocatori di una sorta di “leggenda nera”, secondo la quale nel corso del secolo scorso, le istituzioni della socialdemocrazia hanno addomesticato il capitalismo, facendone un “agnello”, da tosare senza essere ucciso: al mercato era assegnato il compito di produrre ricchezza, alla politica la sua distribuzione. Di qui la necessità di liberare il mercato da lacci e laccioli, ivi compresi i diritti sociali.
L’incidenza di questo cambio radicale di teoria economica sui diritti fondamentali è evidente. Anch’essi non devono essere soddisfatti qualora si debba ricorrere al deficit di bilancio. Questo ovviamante riguarda anzitutto, ad esempio, la tutela della salute, quale fondamentale diritto dell’individuo, e le garanzie di cure gratuite agli indigenti, previste dall’art. 32 della Costituzione. Cade sotto la scure anche il diritto alla gratuità dell’istruzione per gli otto anni della scuola dell’obbligo, o il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, garantito ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi (art. 34). Vanifica ancora quanto previsto dall’art. 38: “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Si fonda su questa disposizione, fra l’altro, il reddito di cittadinanza.
Di più e peggio, secondo una lettura iperliberista, l’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio dovrebbe impedire allo Stato l’indebitamento per effettuare gli investimenti necessari a migliorare le condizioni generali di produzione (si pensi alle infrastrutture fisiche, a quelle immateriali che consistono nella promozione della ricerca e della conoscenza, e a quelle giuridiche, ossia a un sistema giudiziario ben funzionante), la produttività o la domanda dei ceti più deboli e la crescita economica. Questo è molto grave, perché introduce un ulteriore vincolo in un periodo delicatissimo della vita economica del Paese. Sta qui del resto il senso dello scontro fra governo italiano e UE.
Tuttavia questa impostazione ha subito un duro colpo negli anni scorsi a seguito di una vicenda giudiziaria in tema di insegnanti di sostegno ai bambini disabili, della quale in origine sono stato un coprotagonista. Il Tar, a fronte di un nostro ricorso per il mancato sostengo ad un bambino disabile, aveva abbracciato la posizione tradizionale, sostenendo che la ristrettezza dei fondi stanziati giustificava la mancata assegnazione del sostegno. Il Consiglio di Stato, invece, ha ribaltato questo indirizzo, accogliendo la nostra prospettazione e affermando per la prima volta che il diritto fondamentale allo studio è certo finanziariamente condizionato, ma l’amministrazione non può semplicemente accampare l’incapienza nel capitolo di spesa per negare il sostegno, deve semmai ridurre le spese in altri settori prima di incidere sui diritti fondamentali. Un principio di buon senso, poi fatto proprio anche dalla Corte costituzionale.
La svolta nella giurisprudenza della Consulta è avvenuta con la  la sentenza della Corte Costituzionale n. 275/2016.
La Corte si è pronunciata in merito ad una controversia tra Regione Abruzzo e Provincia di Pescara, relativamente al servizio di trasporto scolastico dei disabili, riconoscendo come esso sia un diritto inviolabile e da garantire senza condizionamenti finanziari. Non solo il bilancio è in equilibrio anche senza pareggio. Per esempio, mantiene l’equilibrio quella famiglia che acquista la casa accendendo un mutuo che può estinguere a rate negli anni, pur avendo nel proprio bilancio un debito notevole e quindi in assenza di pareggio.
La Corte ha sostenuto che nella materia finanziaria non esiste “un limite assoluto alla cognizione del giudice di costituzionalità delle leggi”. Al contrario, “non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale” (sentenza n. 260 del 1990). Insomma, secondo la Corte anche le scelte di bilancio sono sindacabili al fine di stabilire se i tagli devono riguardare altri settori prima di incidere sui diritti fondamentali. Ad esempio, si devono ridurre la spese militari o comprimere il diritto alla salute o allo studio o il sostegno agli indigenti? Tema attuale anche nella lotta alle povertà e nel dibattito sul reddito di cittadinaza, non vi pare?
In sintesi - secondo il giudice dell leggi - è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione per soddisfare quei diritti. Il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili così come il sostegno agli indigenti non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali all’equilibrio di bilancio. E’ di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, che è differente dal pareggio di bilancio. La Corte, dunque, relativamente al servizio di trasporto scolastico dei disabili, ha riconosciuto “come esso sia un diritto inviolabile e da garantire senza condizionamenti finanziari”. Il principio, ovviamente, ha carattere generale e si estende a tutti i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. Del resto, diritti “inviolabili” o “fondamentali” significa esattamente che si tratta di diritti la cui soddisfazione non è soggetta alle regole del mercato e, ragionevolmente, della contabilità pubblica. La Costituzione - come si vede - è sempre la via maestra, anche per riprendere la battaglia a sostegno dei diritti sociali e del Welfare.

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