Una Pasqua con tutti i terremotati, dall’Abruzzo al Sulcis

12 Aprile 2009
2 Commenti


Andrea Pubusa

Non si può negare che questa sia una Pasqua amara, quasi che la Quaresima non volesse lasciarci.
La catastrofe dell’Abruzzo è l’ultimo colpo duro, pesante. Una marea di bare, frutto non solo dello scatenarsi delle forze naturali, ma anche dell’incuria e della responsabilità dell’uomo, della ricerca del profitto (come ormai dice soltanto qualche prete, ma nessun politico). Ci sono poi i drammi connessi alla crisi, che il governo tende a minimizzare, ma che è grave e colpisce non solo il Sud, ma anche il Nord. Basta vedere cosa sta succedendo nel Nord-Est, fino a poco tempo fa esempio di un capitalismo rampante, fondato insieme sullo sfruttamento dei lavoratori  italiani, degli immigrati e sul razzismo.
In Sardegna la preoccupazione è grande. I poli industriali si sono ormai sfaldati da P. Torres, a Macchiareddu a P. Vesme. Qui il ciclo dell’alluminio è ormai spezzato. Ferma la produzione di base dell’Euroallumina e quella terziaria della Otefal, per quanto tempo reggerà l’Alcoa sulle seconde lavorazioni? E su Portovesme Srl, unica produttrice di zinco e piombo in Italia, si è abbattuta la bufera dei mercati: sia quello finanziario che quello delle auto. Le produzioni di Portovesme, per l’80%, finiscono nel comparto auto. Ed è facile immaginare come giocherà il crollo delle immatricolazioni. Il risultato? Migliaia di lavoratori a spasso, a pedalare e in salita. A differenza che nel periodo della crisi mineraria, nella quale la mobilitazione fu massiccia e con un’idea, un disegno di riconversione, prima con la centrale da far andare a carbone, e poi, fallito questo obiettivo, con la creazione di un grande polo nazionale dell’alluminio dalle prime lavorazioni fino alle terze o ancora di più, almeno nei propositi. C’erano poi le partecipazioni e gli enti statali, grandi carrozzoni sì, ma anche ammortizzatori sociali formidabili. L’Enel accompagnò alla pensione i pochi minatori di Carbonia, rimasti dopo le superliquidazioni e i licenziamenti; operazione che altri enti svolsero per i minatori dell’Iglesiente. In questo contesto P. Vesme costituì lo sbocco per le nuove generazioni di una zona di tradizione industriale.
Allora (che bello!?) si poteva emigrare. L’Europa tirava. Molti minatori del Sulcis-Iglesiente trovarono facile collocazione in Belgio (alcuni anche la morte a Marcinelle). Ora, non c’è più nessuno sbocco esterno e né il vecchio né il nuovo governo regionale hanno indicato una via d’uscita.
Una situazione difficilissima dunque e pericolosa. Una massa operaia senza prospettiva e senza un collante organizzativo e progettuale (che dramma la liquefazione della sinistra!) può sbandare e costituire un serio pericolo anche per la tenuta democratica. Alcune previsioni stimano in 25 milioni i possibili disoccupati in Europa. Che farà un esercito così grande, affamato, incazzato, senza prospettiva e senza guida? Non è allarmismo temere che possa costituire una massa di manovra per avventure di stampo populistico.
C’è infine l’amarezza per un governo nazionale inadeguato al compito, incapace di chiamare a raccolta le forze del Paese, proteso verso una soluzione autoritaria e liberticida della crisi. In Sardegna, per quel che conta, ci si è liberati di un triste presidente con propensioni populiste, ma si è caduti in un altro all’apparenza più dialogante, ma altrettanto incapace di mobilitare su un’idea anticrisi. Un continuismo dunque nel disinteresse verso le questioni industriali e operaie, con probabilissimi lassismi del governo attuale sugli altri piani. Ma nel contempo una minoranza in Consiglio regionale, prigioniera di un sorismo battuto, povero e senza idee, che oggi, alla prova dell’opposizione, mostra la sua totale inconsistenza, la sua inadeguatezza a sorreggere un disegno di cambiamento. In proposito è sufficiente ricordare l’assoluta mancanza di spessore dei discorsi di Renato Soru a Sanluri e in Consiglio regionale, che invece avrebbero dovuto delineare l’orizzonte dell’opposizione in questa fase delicatissima. Anche a livello politico, dunque, chiusi in una morsa stretta e preclusa ogni alternativa autenticamente democratica e aggregante, gli oltre 600 mila sardi che hanno disertato le urne non hanno alcun elemento per superare il loro preoccupante  malessere e la loro disaffezione. Così come non ce l’ha chi ha votato centrosinistra turandosi il naso, e neppure gli ultras, oggi più di prima prigionieri di un integralismo senza sbocco, anche perché incazzati per l’ingratitudine dei sardi.
Tuttavia, la crisi, come nell’etimo greco, non vuol dire impasse. Al contrario indica l’ora delle decisioni, e più precisamente il momento in cui, caduti i vecchi assetti, occorre cercarne dei nuovi. E’ così che l’ha interpretata Obama che non pensa di declinare le cose al passato, ma di mutarle sensibilmente. La crisi, dunque, è un’occasione di cambiamento. Anzi, lo impone, richiede scelte poiché lo stato di cose presente non regge più. Da esse si esce sempre senza tornare al deja vu. Ecco è qui, nella fuoriuscita dalla crisi, che le forze democratiche e della sinistra italiana devono cercare la loro rilegittimazione. E’ su questo terreno che anche la sinistra sarda può cercare la via d’uscita all’ipotesi autoritaria e spuria cresciuta nel proprio seno e ripudiata dagli elettori. Anche qui l’idea di superare il momento tornando agli equilibri del passato è pura follia. Il terreno del rilancio della battaglia democratica e dell’alternativa in campo economico sarà il banco di prova. Ed allora assumiamo la Pasqua, che più d’ogni festa evoca l’idea del cambiamento, come auspicio e augurio di nuovo inizio sopratutto a partire dal mondo del lavoro, perché è sempre sullo sviluppo dei diritti dei lavoratori che si fonda l’allargamento generale delle libertà .    
 

2 commenti

  • 1 Massimo
    12 Aprile 2009 - 21:01

    Sono basito: si utilizza la crisi per sparare a zero su Soru rimarcando “mancanze di spessore politico” dei suoi discorsi. Ma non hanno parlato per lui alcune politiche sociali fatte negli ultimi anni in sardegna? Hanno parlato molto più di tanti discorsi barbosi di cui ci eravamo, francamente, rotti le palle.
    Si prenda il nuovo governatore, l’attuale presidente del consiglio e contiuni ad elucubrare su come batterli con i suoi discorsi di”alto spessore politico” noni pensiamo di farlo attraverso il sostegno alle politiche che hanno tentato di cambiare la Sardegna e che a voi non piacevano perchè non ci avevate messo becco.

  • 2 admin
    12 Aprile 2009 - 23:35

    Buona Pasqua anche a te Massimo. Si vede che sei basito da quel che dici. Le politiche sociali, cui alludi, sono state così efficaci ed esposte in modo così poco barbose, che hanno trovato il largo consenso popolare che ben conosci. O sei anche tu fra coloro che pensano che sono i sardi sciocchi a non averlo capito? Quanto al becco, credo che siano davvero pochi coloro che ce l’hanno messo. E il risultato striminzito lo comprova. Ma stanne certo, ti riprenderai. Hai tempo per rinsavire. Il grande messaggio della Pasqua e della primavera è proprio questo: dopo la confusione e le tenebre torna la ragione e la luce. Vedrai che anche tu, passata l’infatuazione, tornerai a ragionare. Da tifoso diventerai homo civicus. Buona Pasqua, davvero, Massimo, ne hai bisogno. E grazie per averci letto anche il giorno di Pasqua (ma oggi non avevi niente di più divertente da fare?) (a.p.).

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