Intercettazioni: legge bavaglio. Ma giudici e giornalisti sono senza macchia?

11 Giugno 2010
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Benedetto Ballero - Univ. Cagliari

In materia di intercettazioni telefoniche gli accordi recentemente intervenuti in sede parlamentare, hanno smussato alcune delle scelte più inaccettabili che erano state effettuate dalla maggioranza di centro destra, ma nonostante ciò il testo oggetto dell’approvazione al Senato (vedine i singoli punti nella nota pubblicata più sotto - ndr), continua ad essere per molteplici profili criticabile.
Decisiva, tuttavia, ai fini dell’intervenuto accordo migliorativo, sembra essere stata ancora una volta la decisa posizione del Capo dello Stato, più che la pur ferma opposizione del PD o la totale contrapposizione di una Italia dei Valori, oramai divenuta sempre più, soltanto, campione di un giustizialismo verso tutti, tranne che verso casa propria.
Il Presidente Napolitano, infatti, che risulta essere oggi la sola Autorità che può in qualche modo limitare gli effetti perversi della dittatura della maggioranza - determinata anche da un inadeguato sistema istituzionale monocratico, oltre che dal modo in cui esso viene interpretato ed applicato - ha oramai stabilmente intensificato il suo ruolo di controllo, sia in occasione dell’autorizzazione al Governo per la presentazione di disegni di legge in Parlamento sia, soprattutto, nella promulgazione delle leggi e nell’emanazione dei Decreti legge.
Il testo sulle intercettazioni, peraltro, continua ad avere il vizio d’origine, perché è sempre strutturato in funzione punitiva nei confronti di quei due poteri, quello della stampa e quello della magistratura, che in qualche modo hanno cercato di contrastare in questi anni l’involuzione del sistema, provocata anche da una legislazione elettorale non compatibile con la Costituzione.
Va detto, per la verità, che un più vasto consenso di opinione pubblica, ed una maggiore legittimazione per contrastare un tale disegno politico anticostituzionale, si avrebbe se anche i Giudici dimostrassero di non aver più alcun condizionamento verso gli organi inquirenti, e di saper operare, quindi, in una posizione di reale terzietà, come vuole la Costituzione, e se la stampa sapesse essere meno strumento delle Procure e sapesse imporsi le necessarie autolimitazioni, rifiutando la pubblicazione di quelle intercettazioni che nulla hanno a che vedere con la vicenda penalmente rilevante, ma che costituiscono mero “gossip”.
La limitazione del diritto alla privacy, ed il mancato rispetto dei principi costituzionali in materia di riservatezza (con la pubblicazione di ciò che, limitandosi tali principi inviolabili, viene intercettato) si giustifica infatti solo in presenza di fatti penalmente rilevanti, e di pubblico interesse, mentre i fatti di mero “gossip” possono essere pubblicati non quando emergono da intercettazioni ma solo se scaturiscono da altri modi legittimi di accertamento dei fatti (indiscrezioni, confidenze, osservazioni in luogo pubblico etc.) perché l’utilizzo di intercettazioni per tali fini, costituisce una inaccettabile e non giustificata violazione del diritto Costituzionale alla riservatezza ed alla privacy.
Va ribadito, tuttavia, che nel testo appena licenziato sono del tutto ingiustificate le norme meramente punitive, quali quelle contenenti le sanzioni per gli editori, norme che peraltro appaiono, oltre che ripetitive di una responsabilità già sussiste in caso di danni da reato, chiaramente finalizzate a limitare la libertà di stampa e ad autorizzare l’ingerenza, nei confronti dei direttori dei giornali, della proprietà delle testate. Sul punto quindi non sembra avere grande significato neppure il recente accordo volto alla mera riduzione dell’entità delle sanzioni.
Appare incongruo, poi, il sistema di determinazione dei tempi massimi di durata delle intercettazioni e delle modalità di loro proroga (ciò pur dopo le modifiche recentemente intervenute, risibili nel disciplinare proroghe di 48 ore in 48 ore), pur se è invece corretto che un termine vi sia, e che si preveda che l’autorizzazione all’intercettazione venga disposta da un giudice collegiale (purchè, si ripete, questi sappia svolgere, realmente, il ruolo di giudice terzo, garante dei cittadini).
Appare altresì inaccettabile la decisione (pur se ora sembrerebbe che la si voglia correggere) di voler estendere i nuovi principi ai processi in corso, così vanificando i risultati acquisiti nei confronti di “imputati eccellenti”, così come è inaccettabile la scelta legislativa di stabilire nei particolari cosa si può pubblicare e quando, come se ciò non dovesse essere frutto della responsabile scelta del giornalista e del suo direttore.
Ancora una volta, quindi, l’attuale maggioranza vara una legge con finalità occulte, diverse da quelli apparenti che, se reali, sarebbero condivisibili.

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