I gruppi del malaffare e la politica regionale

15 Luglio 2010
2 Commenti


Andrea Raggio

Le recenti vicende giudiziarie stanno mettendo in crescente evidenza l’influenza che i gruppi di malaffare esercitano anche sulla politica regionale. Il fenomeno è andato accentuandosi in questa legislatura, coinvolgendo direttamente il Presidente della Regione. L’onorevole Cappellacci ha dichiarato “non ho niente da nascondere e ho fiducia nella magistratura”. Attendiamo, dunque, il responso della magistratura e se i sospetti saranno dissipati tanto meglio, il prestigio dell’Istituzione ne guadagnerà.
Per il giudizio politico, invece, non abbiamo bisogno di attendere. Flavio Carboni non è uno sconosciuto, è “il noto faccendiere”. La sua frequentazione, soprattutto da parte di chi ha responsabilità di governo, non può essere in alcun modo giustificata. Neppure come un’imprudenza o come un’eccessiva acquiescenza ai dirigenti nazionali del suo partito, come sostiene il sardista onorevole Sanna. Non può essere, infatti, consentito che il Presidente della Regione si faccia coinvolgere, neppure inavvertitamente o per spirito di partito, nella trama ordita da quella che è stata definita una “associazione massonica”, sospettata di violare la legge Anselmi, e che si faccia condizionare dal sistema di potere privatistico che sta soffocando la vita pubblica. Giusta la revoca, finalmente! del direttore dell’Arpas. E il Presidente che quella nomina ha fatto deliberare “su impulso”di Flavio Carboni, perché non viene chiamato a risponderne? E’ vero, con la caduta del presidente cadrebbe anche il Consiglio regionale. Ma dinanzi allo scempio in atto dell’Autonomia e dell’etica pubblica il Consiglio deve trovare una volta buona il coraggio di farla finita col ricatto del presidenzialismo. E la sinistra dovrebbe comportarsi come tale.
La Sardegna vive una condizione economica e sociale drammatica. Non scarichiamone le responsabilità interamente sulla crisi globale. E’ indubbio, infatti, che l’intreccio tra gruppi di malaffare e politica abbia contribuito e contribuisca a far precipitare la situazione. “La corruzione estrema –ha scritto Roberto Saviano – elimina la possibilità di sviluppare una politica sana”. Siamo in Sardegna a questo punto? Ci siamo vicini. E’ innegabile che l’intreccio tra il potere dei gruppi affaristici locali e il sistema di potere privatistico nazionale abbia impresso alla politica regionale una svolta che conduce al peggio. D’accordo, l’intreccio non ha ancora raggiunto da noi il livello di altre regioni meridionali, ma siamo sulla stessa brutta china. E su di essa rischiamo di scivolare rapidamente perché il terreno è spianato da una diffusa e protetta pratica del malaffare. Tra i tanti episodi che potrei citare, documentandoli, ne scelgo uno minore ma emblematico, quello oggetto della sentenza del Tar Sardegna del 5 maggio 2009 concernente l’annullamento di una serie di atti del Comune di Domus De Maria su ricorso di una piccola imprenditrice. La quale aveva una concessione demaniale su un’area del litorale del comune, sulla quale aveva già esercitato attività, e aveva un’autorizzazione edilizia per la costruirvi un punto ristoro. Sulla stessa area avevano, però, interessi economici anche due consiglieri comunali, uno dei quali poi diventato sindaco. Che fanno i due per estromettere la concorrente? Inventano una commissione comunale per l’elaborazione di un piano di utilizzo del litorale ed entrano a farne parte. La commissione propone che nel litorale possa realizzarsi un solo punto ristoro, il Consiglio approva e il solerte, in questo caso, responsabile dell’ufficio tecnico illegittimamente decide di revocare la concessione edilizia alla ricorrente. Tutta questa complessa procedura è sbrigata nel giro di qualche settimana. Il Tar accoglie il ricorso della piccola imprenditrice, annulla gli atti dell’amministrazione comunale perché illegittimi e condanna la stessa al pagamento delle spese processuali.
Il carattere emblematico di questa che a prima vista appare come una delle tante banali mariolerie che costellano la vita delle pubbliche amministrazioni sta nel fatto che il Tar per fare giustizia ha dovuto faticare ben nove anni. Ripeto, nove anni. Un tempo abnorme nel caso del Tribunale amministrativo. La verità è che i chiacchierati amministratori di Domus De Maria, piccolo comune dotato di un ampio territorio ricco di potenzialità speculative, hanno la superprotezione di quel potente comitato di affari che imperversa nel cagliaritano e che condiziona pesantemente il funzionamento delle istituzioni, a cominciare da quella regionale, di settori delicati della pubblica amministrazione statale, del sistema bancario nonché l’attività d’importanti personalità della politica, di centrodestra e di centrosinistra.
Ecco perché la calata di gruppi affaristici nazionali e addirittura di organizzazioni malavitose trova in Sardegna ambienti favorevoli. Ed ecco perché nella lotta ai gruppi di malaffare, indigeni o importati, non devono essere più tollerate debolezze e compromissioni.

2 commenti

  • 1 G M P
    16 Luglio 2010 - 07:57

    Tanto vere quanto drammatiche le parole di Andrea Raggio. Appare evidente come vi sia un problema di “qualità” della classe dirigente ,ricordo molto bene e non le dimenticherò i toni intimidatori e minacciosi che si leggevano nelle intercettazioni telefoniche riguardo all’inchiesta della Magistratura su Tuvixeddu ,rileggerle per non dimenticare e soprattutto per capire.
    Mi auguro che alle prossime elezioni forse imminenti ,si possa discernere chi ha veramente lavorato per il bene comune e il pubblico interesse e chi no .

  • 2 Arrubiu
    16 Luglio 2010 - 12:36

    Perchè Ughetto, presidente ridens, de badas, se ne deve andare?
    1 se non sapeva con chi parlava, se deve andare perchè sarebbe un fesso;
    2 se sapeva con chi parlava, se deve andare perché in questo caso sarebbe stato connivente con il malaffare.
    Tertium non datur. Ah bello prepara le valige e tornatene ad Arcore!

Lascia un commento