Il PD è al capolinea?

3 Luglio 2013
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Pasquale Alfano

Ma il PD è davvero arrivato al capolinea?
E’ questa la domanda che da un po’ di tempo frulla nella mia testa guardando a tutto ciò che è successo a partire dal giorno dopo il risultato elettorale di febbraio.
Il PD da perno dello schieramento di rinnovamento e protagonista del cambiamento diventa fattore di crisi della nostra società ed incapace di offrire una prospettiva di futuro, spirito critico e soggetto di idee innovative. A questo si aggiunga che la stessa alleanza elettorale di centrosinistra non è in grado di reggere alle nuove situazioni e la frittata è fatta e servita.
Da militante della sinistra, da elettore del PD pur non avendo mai aderitovi, iscritto al PCI, al PDS ed ai DS mi auguro proprio, per il bene dell’Italia ed anche della sinistra, che questo partito non sia al capolinea.
Non ho mai aderito al PD perché, sin dall’inizio, la sua nascita è sempre stata caratterizzata da ciò che fu schematicamente ed efficacemente considerata una fusione fredda piuttosto che un vero processo costituente di una forza politica che riuscisse ad amalgamare ed integrare le culture e le tradizioni ispiratrici. In pratica non sono stati sciolti i nodi, le differenze e le diverse espressioni che dividevano, e continuano a dividere, quelle culture. Se questo si aggiunge il fatto che a dirigere il nuovo partito sono stati chiamati gli stessi che avevano diretto i vecchi partiti si comprende con più facilità come quelle differenze non potevano essere superate. Ci sarebbe voluto maggior coraggio e la promozione di una nuova classe dirigente, non coinvolta con le vicende del passato, in grado di rappresentare una vera svolta anche generazionale.
Ora, però, tutto questo è alle spalle; occorre avere il coraggio di guardare avanti e credo che una prima risposta sia quella di salvaguardare il contenitore. Sarebbe una vera iattura quella di romperlo perché provocherebbe una ulteriore frammentazione delle forze della sinistra e del rinnovamento facendo venir meno una forza in grado di catalizzare intorno a sé uno schieramento politico capace di contrastare la destra.
Ma tutto questo sarà utile se si riuscirà a definire quali contenuti devono riempire il contenitore. In parole povere: che fare, come fare e con chi fare.
A queste tre suggestioni occorre dare una risposta mettendo in campo idee, progetti, valori, comportamenti e scegliendo i compagni di strada, sapendo che non tutti e non tutto può essere difeso allo stesso modo.
Il PD che si autodefinisce come il partito nazionale che richiama ed esprime principi e valori quali: lavoro, diritti, cittadinanza, partecipazione, legalità, equità, onestà, rinnovamento, democrazia ed onestà. In definitiva un partito che assume la nostra Costituzione come valore assoluto. Questo per me sarebbe anche la riaffermazione dell’essere di sinistra.
E allora ben venga una franca ed approfondita discussione, un confronto serrato che coinvolga tutti coloro che sono interessati a costruire un partito (vero!!) ed un progetto di cambiamento reale. Un progetto che non sia limitato in un tempo breve ma che sappia guardare al futuro perché un partito, se ha l’ambizione di rappresentare qualcosa, non può limitare la sua esistenza in uno spazio limitato, deve avere fiato lungo. Importante, dunque, è la capacità di definire con nettezza i suoi lineamenti. La scelta di chi sarà chiamato a dirigere i processi viene dopo e chi lo farà lo farà sulla base di un progetto condiviso, discusso e non perché più bello o più brutto di un altro.
Che la politica torni protagonista e svolga il ruolo che le compete. Il paese ha bisogno di emozionarsi, di ritrovare la passione civile e di capire che non tutto è sporcizia, compromesso deleterio o affarismo a favore di pochi e contro molti altri.
Per l’immediato, guardando anche all’impegno di governo, mi pare che oggi questo partito esprime una posizione confusa e subalterna. E’ certamente vero che questo non è il governo auspicato ma se si è aderito a questa scelta non ci si può limitare a subire ogni giorno le scorribande provenienti da chi ha determinato la crisi e chi ha portato il paese sull’orlo del baratro. Berlusconi e la sua corte non hanno vinto le elezioni e non hanno alcun diritto di determinare l’agenda o di porre condizioni.
Autonomia, decisione, autorevolezza e chiarezza di comportamenti. Certo non è facile.
Infine, il PD ha davvero bisogno di una nuova classe dirigente, non solo anagraficamente ma anche e soprattutto culturalmente e politicamente in grado di attirare consensi e simpatie. Basta con l’autoflagellazione e con la derisione su cui si esercitano tutti coloro che, sia da destra che da sinistra, si ergono a censori.
Ed al processo di rinnovamento e ricambio della classe dirigente devono partecipare tutti anche coloro che hanno svolto questo ruolo nel passato lavorando per dare consigli, aiutare a crescere e restituire ai figli ciò che hanno ereditato dai padri. E’ così che si garantisce la continuità e la responsabilità dell’impegno.
Ci si riuscirà? Non lo so, ma penso che quantomeno bisogna provarci. Per non far morire la speranza.

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