Le “bolle” tornano a riproporre le loro minacce

10 Agosto 2014
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Gianfranco Sabattini

Dopo la crisi del subprime immobiliari americani poco è stato fatto per regolamentare le operazioni speculative; anzi, è prevalsa l’idea, cara ai responsabili delle Banche centrali più importanti del mondo (Federal Reserve Bank degli USA, Bank of England, Banca Centrale del Giappone), che il denaro a costo zero avrebbe potuto corroborare la ripresa, non più attraverso operazioni rischiose immobiliari, ma attraverso “bolle” mobiliari. In tal modo, i rischi sistemici, gravati sulle economie occidentali nel recente passato, si stanno riproponendo.
I nuovi rischi, dopo la crisi del 2007/2008, si stanno accumulando per effetto di sei anni di “iniezioni globali” di nuova liquidità fuori controllo, il cui unico scopo ufficiale è stato quello di riproporre e sostenere una nuova fase di crescita dell’economia mondiale. Finché le Banche centrali hanno immesso liquidità senza vincolarla ad una specifica politica industriale, le crescenti immissioni di nuova liquidità hanno avuto solo l’effetto di abbassare il costo del denaro; ciò ha indotto gli investitori ad indirizzare le loro convenienze verso attività ad alto rischio.
Da ciò consegue che allorché le Banche emittenti dovranno fare “marcia indietro” concorreranno a fare “scoppiare” tutte le possibili bolle che nel frattempo si sono formate, senza la possibilità di riflettere razionalmente riguardo all’alternativa migliore da seguire sul piano del governo dell’economi reale e di quello della moneta: infatti, le banche che dovranno elaborare la loro “exit strategy” da seguire quando il pericolo di crisi si prospetterà all’orizzonte non sapranno scegliere tra una non riduzione degli stimoli monetari, concorrendo a “gonfiare” ulteriormente le bolle speculative; oppure una riduzione affrettata degli stimoli, concorrendo a creare disordine finanziario e crisi sul piano economico-sociale all’interno dei Paesi che saranno coinvolti.
Per effetto soprattutto degli indirizzi della Banca centrale degli USA, gran parte delle massime istituzioni finanziarie di tutto il mondo hanno consentito che la nuova liquidità si indirizzasse verso operazioni speculative; stando ai dati dell’agenzia multinazionale di news economiche Bloomberg, dall’inizio della crisi, l’aggregato M2, che esprime la liquidità secondaria immessa in circolazione dalle Banche centrali di tutto il mondo, inclusiva della liquidità primaria M1 (moneta legale) e di tutte le altre attività finanziarie dotate di elevata liquidità (quali i depositi bancari o di altro tipo), nonché di quelle che possono fungere da mezzo di pagamento, è passato da 35 mila miliardi di dollari a 59 mila miliardi, con un incremento perciò del 68,57% circa.
In assenza, come si è detto, di una politica industriale, gli investimenti hanno preso la via dei mercati finanziari, concentrandosi in particolare sui titoli obbligazionari ad alto rischio, sui titoli di debito dei Paesi emergenti e su quelli dei Paesi in crisi dell’Europa del Sud. La dimostrazione di tutto ciò è la qualità degli investimenti in titoli “Junk Bond” (titoli spazzatura, ovvero titoli obbligazionari dal rendimento elevato, ma caratterizzati da un alto rischio per l’investitore); in particolare, soprattutto sul mercato statunitense, i grandi flussi finanziari d’acquisto si sono indirizzati verso le obbligazioni “Covenant-lite” (prestiti con basse garanzie per i sottoscrittori), i “Leveraged loans” (prestiti concessi a prenditori già sovraesposti), i “Payment in kind” (prestiti per i quali non è previsto il pagamento degli interessi in denaro), i “Collateralized loans” (prestiti obbligazionari mediante i quali gli investitori comprano un portafoglio di prestiti, per poi rivenderli per trance a compratori ultimi), gli “Alt-A loans” (prestiti concessi ad un segmento di clientela “ad alto rischio” che consentono al compratore di pagare per i primi anni delle rate modeste, ad un tasso di interesse iniziale contenuto), i “Ninja loans” (acronimo di No Income No Jobs or Assets, ovvero prestiti concessi senza verificare reddito, possesso di posto di lavoro o attività a garanzia) e verso altre forme di impiego delle risorse finanziarie, in genere non conformate a standard di qualità e di sicurezza.
La politica monetaria espansiva delle Banche centrali è stata adottata con il fine di rianimare l’economia globale messa in difficoltà dalla peggiore crisi dagli anni Trenta, con la conseguente formazione di tassi di interesse nell’area del dollaro ed in quella dell’euro da oltre quattro anni prossimi allo zero. Così, la politica monetaria, anche se con diversi gradi di intensità, sulle due sponde dell’Atlantico è andata nella stessa direzione: la troppa liquidità e il basso costo del denaro, si sono trasformati in una “miscela esplosiva”, nel senso che hanno concorso a creare le condizioni perché si creassero delle bolle destinate, prima o poi, a “scoppiare”.
La situazione che si è creata è la conseguenza del fatto che, sia al di là che al di qua dell’Atlantico, è mancata una politica industriale credibile; ne è la prova la circostanza che persino le imprese “hi-tech”, come Ibm, Apple e Oracle, si sono distinte nel ricorso ad operazione di “Buyback”, nel senso che hanno utilizzato l’abbondante liquidità disponibile per il riacquisto delle proprie azioni, allo scopo di ridurre il numero dei titoli sul mercato; e dal momento che un’impresa non può essere “azionista di se stessa”, le azioni riacquistate sono state “cancellate”, determinando un incremento del valore delle azioni residue e dell’eventuale profitto conseguito. Si è trattato di un evidente paradosso; le imprese “hi-tech”, invece di migliorare le condizioni degli azionisti avrebbero invece dovuto preoccuparsi di allargare gli investimenti per fare crescere ulteriormente se stesse e l’economia delle aree nelle quali operano.
In conclusione, la politica monetaria delle Banche centrali, disgiunta da una politica industriale, ha alimentato prevalentemente la speculazione e non ha prevalentemente stimolato la crescita dell’economia reale; ciò significa che, in prospettiva, eventuali turbolenze nei mercati finanziari potranno non solo bloccare la crescita economica e l’occupazione, ma anche bloccare la ripresa dove questa sta manifestando, sia pure debolmente, segni positivi, come sta accadendo nell’area dell’euro. Di fronte a questa situazione, per ora, la banca Centrale Europea non avverte alcun pericolo di sorta; il suo governatore, Mario Draghi, ha precisato che i tassi d’interesse nell’eurozona continueranno a restate bassi, soprattutto per fare ripartire i prestiti alle imprese. Si tratta di decisioni positive contro la crisi ancora in atto; c’è solo da augurarsi che a queste decisioni corrispondano iniziative altrettanto positive sul piano della predisposizione di misure di politica industriale da parte dei Paesi europei, utili a fugare il pericolo che ulteriori bolle speculative possano annullarne gli esiti tanto attesi.

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