Il paese dei balocchi

9 Ottobre 2014
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Amsicora

Che il nostro sia il paese dei balocchi è sicuro. Quale altro paese può vantare, in sequenza, un capo del governo barzellettiere, per contrappasso due seriosi, tristi e mortiferi, e poi ancora un barzellettiere. E tutti ballisti. Il primo eletto dagli italiani, ma deposto per volontà esterna. Gli altri tre nominati sempre per volontà straniera e, i primi due dei tre, deposti da chi li aveva scelti. Il motivo? Manifesta incapacità di turlupinare gli italiani! L’ultimo, quello in carica, sempre scelto chissà dove, ma lontano, oltr’Alpe. E senza elezione. A che servono questi cazzeggi democratici? Voto, preferenze? Reperti archeologici di altre ere politiche!
Come un furetto, il barzellettiere in carica passa da una TV all’altra inondandoci di banalità. Teme di fare la fine degli altri tre. Al di là della frontiera sono esigenti: o fai terra bruciata dei diritti o vai a casa. Bersani, ad esempio, non era affidabile. Che fesso! Aveva iniziato la campagna elettorale partendo dal distributore di benzina di famiglia, a ricordo delle sue origini popolari. Non ha capito che musica suona in Europa! E così lo hanno fatto fuori ex ante, non ex post. Neppure l’incarico re Giorgio gli ha dato!
Il parolaio attuale ha capito la lezione e assolve il mandato con gelido zelo e millimetrica precisione: asfalta tutti i suoi avversari o semplici contraddittori. Mette in sella zarine: che ne dite della metamorfosi della Serracchiani, da contestatrice a mazziere? Certo, non si può dire che il PD sia una partito di cuor di leoni. Il parolaio non ha dovuto neanche intimare la resa, e quelli della “comunità”, quando hanno visto cambiare il vento, da strenui sostenitori del buon Bersani, - manco a dirlo! - cambiata velocemente la casacca, sono passati nella squadra del nuovo segretario e capo del governo. Ma anche i bersaniani duri e puri non scherzano. Hanno eretto una barricata a difesa dell’art. 18, come facevano i rivoluzionari d’un tempo e hanno minacciato fuoco e fiamme. E noi ci siamo infogati: i vecchi comunisti, ho pensato, fregandomi le mani soddisfatto, perdono il pelo ma non il vizio; quando ci sono in ballo i diritti dei lavoratori non mollano. Ma poi l’hanno smontata, la barricata, frettolosamente, rimettemdo tutto in ordine e quasi scusandosi per il disturbo: critica sì, ma anzitutto lealtà, siamo una “comunità” o no, perbacco! E, a ben guardare, le ascendenze bolsceviche sotto sotto riemergono, e anche la cultura del centralismo democratico: discutere sì, ma poi tutti con la maggioranza come un sol pugno. Sennonché prima il pugno era diretto alla borghesia e ai padroni, ma oggi scomparsi i primi e anche i secondi, in questa felice società senza classi di liberi e uguali, l’importante è dare la fiducia al governo. Se poi questo adotta misure che massacrano i diritti dei lavoratori, poco importa. Se si tratta ad evidenza di dare al grande capitale finanziario la prova che il mondo del lavoro va colpito, senza che non rimanga neppure memoria della dignità e dell’orgoglio dei lavoratori, chissene… Ordine e disciplina, compagni! Anche se il pugno stavolta è diretto allo stomaco dei lavoratori.
Ora la soppressione dell’art. 18 ha risvolti sconvolgenti. Avete letto l’altro giorno su l’Unione sarda di quei dipendenti licenziati e reintegrati? Il giudice del lavoro, nel contraddittorio delle parti, aveva accertato la falsità delle contestazioni nei loro confronti. E li ha reintegrati. Cosa doveva fare di diverso? E’ come se il giudice civile accertasse che tuo cugino ti ha fregato un quadro dell’eredità del nonno. Tu ricorri al giudice, che accerta che il quadro, in virtù del testamento, è tuo. Qual’è la conclusione che ti aspetti? Che l’ordinamento ti dia gli strumenti giuridici per recuperare il quadro, se non vuoi da tuo cugino l’equivalente in danaro. Nel caso del lavoratore licenziato illegittimamente, invece, si vorrebbe risolvere la questione con una somma di denaro, anche se il padrone risulta falso e mascalzone, e il dipendente incolpevole vuole riprendere il proprio lavoro. Una schifezza giuridica e un vulnus del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, sancita nell’art. 24 Cost. Un’immondezza morale: lo svilimento del lavoro a merce deprezzata e vile!
L’altro giorno ho parlato con due persone vessate nel luogo di lavoro, un’agenzia parapubblica. Mi chiedevano consiglio. Avevano ricevuto reiterate contestazioni e alcune sanzioni disciplinari pretestuose. Tipiche attività propedeutiche al licenziamento. Chiedo: chi sono quei figli di mamma buona che fanno queste mascalzonate. E sapete cosa scopro? Sono due “compagni”! Uno è presidente, l’altra è direttore generale. Sono stravolto, ma curioso di sapere come i due hanno acquisito quegli incarichi. M’interessa sopratutto la donna, figlia di un vecchio compagno fin dai tempi del Manifesto. Il padre, nella fabbrica e in città, non è mai mancato a qualsiasi appuntamento di lotta, dagli scioperi alle manifestazioni, ai dibattiti. Uno di quesi lavoratori a cui dobbiamo la difesa e lo sviluppo della democrazia. La figlia, anch’essa da ragazza iscritta al PCI, ha attraversato tutta la deriva fino al PD. Ed ora cos’è diventata? Con una laurea in Scienze politiche è stata nominata dirigente generale dal Presidente, suo compagno di partito e di letto, un ex sindaco di un paesino, uno dei nostri. Nomina politica quest’ultima; non so se più di letto o di partito la seconda, forse entrambe. E perché vessano i due malcapitati? Evidentemente vogliono far spazio a qualche loro “compagnetto” o “compagnetta”, a qualcuno della loro “comunità”. Del resto, perché lasciare al lavoro questi due non iscritti al PD, “extracomunitari” dunque, e perfino non disposti all’obbedienza. Saranno, questo presidente e questa direttrice, favorevoli alla soppressione dell’art. 18? Certo che sì, così possono comandare e fare strame delle risorse pubbliche, favorendo questo e discriminando quello. Il giudice annulla il licenziamento? No problem, un indennizzo a carico dell’ente e un posto libero. Poi? Concorso addomesticato e via libera ad amici e conoscenti.
L’aspetto sconvolgente è che persone come queste erano fra i 3 milioni del circo Massimo a Roma in difesa dell’art. 18 ai tempi di Cofferati.
Questa è la comunità-PD, questa è la mutazione genetica di una certa sinistra, diventata perfino peggio della vecchia DC, in cui l’arroganza era spesso mitigata dalla fede, o, più prosaicamente, dall’opposizione robusta e senza sconti dei comunisti e della CGIL.
Non c’è da stare allegri. L’opera di ricostruzione, anzittuto morale, per rimettere in piedi il Paese è enorme, fa tremare le vene ai polsi. Prima ci liberiamo del barzellettiere e dei suoi amici meglio è. Ma urge una partito di sinistra. Di sinistra vera, quella dura, che non amicava, non raccontava barzellette e non faceva sconti.

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