Syriza, l’alternativa all’ausperità è possibile?

3 Febbraio 2015
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 Alfiero Grandi - Pres. ARS - Ass. Rinnovamento Sinistra

Oggi Tsipras è a Roma per incontrare Renzi nel tentativo di allargare il fronte contro quell’austerità imposta dalla troika, che colpisce a fondo anche l’Italia. Ecco, in questo scritto di Alfiero Grandi, le questioni che la vittoria di Syriza pone anche a noi e alla sinistra europea.

La vittoria di Siriza in Grecia e la formazione di un nuovo Governo a guida
Tsipras è un fatto politico di prima grandezza anzitutto per la Grecia, che
ha ritrovato così la forza di reagire al ricatto dell’austerità che dura
ormai da più di cinque anni e che l’ha ridotta in condizioni di vera e propria
prostrazione sociale.
Questa vittoria è importante anche per la sinistra in Europa, che pur
criticando la scelta dell’austerità e le sue conseguenze sociali
drammatiche, non è riuscita a dare credibilità alternativa e forza alla sua
iniziativa.
Le misure imposte alla Grecia (e accettate dai governi greci che si sono
succeduti fino ad oggi) sono servite da spauracchio per convincere i
riottosi in Europa ad accettare o almeno a subire senza troppo protestare le
conseguenze delle politiche di austerità. E’ vero che la Grecia ha perso un
quarto della sua economia, ma è altrettanto vero che l’Italia ha perso oltre
il 10 % del Pil e un quarto del suo potenziale industriale, che per un paese
essenzialmente trasformatore di materie prime è un’enormità. Anche i dati
sulla disoccupazione dicono che la Grecia ha pagato un prezzo altissimo, ma
anche in Italia c’è stato il raddoppio dei disoccupati durante questa crisi
che sembra non finire mai e purtroppo non c’è da farsi illusioni a breve, in
particolare sull’occupazione.
La questione di fondo è che i paesi più colpiti dalle politiche di austerità
o perché più deboli o perché esposti per il livello del debito sono andati
in ordine sparso, a partire dalla Francia che ha fatto carte false per non
aggiungere una F ai pigs. Questo ha drammaticamente indebolito il fronte
antiausterità. Monti, ad esempio, ha ripetuto spesso che l’Italia non è come
la Grecia, come se fosse un titolo di vanto, dopo di lui i governi hanno
proseguito nella litania dei compiti da fare a casa, chiamati in modi
diversi, come fa Renzi, ma la sostanza è la stessa. Il risultato è che l’area
più in difficoltà ha perso occupati e pezzi di economia per strada, come
conferma la riduzione del Pil, e che anche l’area di paesi che pure ha
guadagnato dalle disgrazie altrui, perché i capitali accorrevano, e ha
accresciuto il suo avanzo commerciale ha finito con il cadere nella trappola
della deflazione, che non a caso è vista oggi come il pericolo maggiore,
finalmente ammesso, dalla Bce e che è alla base degli interventi finanziari
decisi.
Quindi anche chi sta meglio è oggi vittima di una politica di austerità
cieca ed ideologica che ha negato l’evidenza, facendo politiche di
restrizione proprio quando l’economia e l’occupazione andavano sostenute con
interventi di allargamento mirato della domanda. La crisi in questi anni è
stata anche l’occasione per un formidabile trasferimento di risorse dal
basso verso l’alto, infatti i ceti più ricchi oggi lo sono ancora di più.
Qualcosa si muove in Europa, ma più per la vittoria di Tsipras, data per
scontata anche a livello europeo, che per vera convinzione sulla necessità
di cambiare strada. Il problema è che la Grecia non basta per cambiare l’Europa.
Non è il caso di farsi illusioni perché a favore delle politiche di
austerità ci sono enormi egoismi sociali che non sono disponibili a mollare
i privilegi acquisiti anche durante la crisi per il resto dei cittadini.
La questione di un’alternativa alle politiche di austerità, non solo in
Grecia, si pone con forza a livello europeo e in tutti i paesi.
Vengono spesso citati il piano Juncker e la manovra finanziaria decisa dalla
Bce come segnali positivi, ed in parte è così, perchè tutto quello che si
muove per superare una politica restrittiva dei bilanci pubblici può
aiutare.
Tuttavia è necessario leggere le misure con maggiore attenzione perché non
tutto è come appare. Ad esempio non è cosa di poco conto che Juncker abbia a
disposizione solo 21 miliardi e gli altri debbano metterceli gli Stati
interessati agli investimenti che al massimo avranno la possibilità di
conteggiare queste risorse fuori dal debito. Così non è di poco conto che la
Bce garantisca solo il 20% dei 1100 miliardi di euro che verranno immessi
nell’economia, per di più di questi solo una somma pari all’8 % andranno a
garanzia europea perché il 12 % andrà a garantire gli strumenti di
intervento europei. Il resto delle garanzie è a carico delle banche centrali
dei diversi paesi e quindi Banca d’Italia dovrà fare fronte con le sue
riserve agli acquisti di debito italiano per l’80 % del totale, senza
contare altri vincoli come il massimo previsto di acquisti. L’unico modo per
fronteggiare la crisi dell’eurozona è più Europa, cioè mettere in comune
gradualmente politiche, interventi e risorse, mentre qui c’è meno intervento
europeo di quello che è necessario, anzi si arriva a nazionalizzare l’80 %
degli interventi. Il risultato certo è che una exit strategy dei singoli
stati è di fatto sterilizzata. Inoltre più denaro in circolazione non porta
automaticamente a più finanziamenti per famiglie ed imprese, perché le
banche debbono decidere di farlo e per ora cercano di alleggerire le loro
posizioni, non di espandere gli interventi. C’è un concetto rivelatore dell’intervento
della Bce: ora speriamo che le banche finanzino l’economia reale. Inoltre
portare l’inflazione verso il 2 %, presentata come una benedizione non è
affatto una manovra neutra perchè comporta che le famiglie, i cui redditi
resteranno quelli attuali, dovranno fare i conti con aumenti dei prezzi,
mentre finora il contenimento dei prezzi ha contribuito a contenere la
perdita di potere d’acquisto. Quali misure di tutela verranno prese per i
lavoratori e i pensionati ?
Anche per questo non c’è alternativa ad una battaglia seria per cambiare gli
orientamenti fondamentali dell’Europa. Il problema di fondo, come dimostra
la vittoria di Tsipras, è aprire un contenzioso in Europa per cambiare la
linea fin qui seguita, ma la Grecia non basta, occorre che altri paesi si
aggiungano e riprendano il coraggio di un’iniziativa che non si limita a
cercare gli spazi di flessibilità possibili ma alza la bandiera di un’alternativa
in Europa all’austerità, ormai assunta a dogma e in questo quadro andrebbe
riaperto il problema di modificare l’articolo 81 della Costituzione - quello
cambiato alla chetichella, impedendo alla maggioranza degli italiani di
capire cosa stava accademndo - che afferma il contrario di quanto si afferma
di chiedere all’Europa.

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