Scenari in vista dopo il 4 dicembre

26 Novembre 2016
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Tonino Dessì

     NO al Referendum Costituzionale

Che l’aria sia ancora incerta lo si capisce dappertutto.
Stando alle cronache politiche dei giornali di giovedì 24 novembre, la giornata di Renzi, mercoledì scorso, è andata così.
È salito da Mattarella, non si sa se convocato o di sua iniziativa. Gli ha detto che se vince il NO si dimette, cosa che prima ancora del colloquio ad ogni buon conto aveva anticipato alla stampa.
Mattarella gli ha detto di smetterla, perché ogni volta che il leader del PD minaccia dimissioni e cataclismi politici fibrilla qualche indicatore economico e bene al Paese non ne fa.
Poi gli ha fatto osservare che se il 5 vince il NO e il Capo del Governo sale di nuovo al Colle con la solfa delle dimissioni, lui lo rispedisce dritto filato alle Camere per verificare se la maggioranza gli dà ancora la fiducia.
Siccome (purtroppo: ma questo è un mio pre-giudizio) è più che probabile che quei disperati gliela confermino, in tal caso Mattarella gli ha significato che dovrà restare in carica e governare, anche perchè con l’Italicum non si potrebbe votare e perciò le Camere, fino all’approvazione della nuova legge elettorale, non potrebbero comunque essere sciolte.
Risultato: dichiarazione di Renzi di giovedì mattina con direttiva ai sostenitori del SI di moderare i toni e a tutti, avversari compresi, l’invito a “ingranare una marcia indietro”.
Poi serata TV con Marchionne in pompa magna a magnificare la ripresa delle fabbriche automobilistiche italiane della FCA - FIAT ad onta di ogni no del sindacato allo strapotere aziendale. Pesanti, ma almeno non troppo sguaiati.
La palla resta in questi giorni al centrocampo, come è avvenuto nei giorni scorsi in seno alla redazione dell’Economist, periodico specializzato in politica internazionale, la cui redazione si è divisa pubblicamente tra chi ritiene non auspicabile una vittoria del NO perchè rallenterebbe le “riforme” e chi ritiene catastrofica per l’Italia e per l’Europa una vittoria del SI (http://www.repubblica.it/politica/2016/11/24/news/referendum_economist_renzi-152726698/)
Intanto Berlusconi, avendo fiutato l’aria da qualche settimana, si è reso conto che Renzi potrebbe cadere anche in Parlamento solo se implodesse politicamente la sua leadership nel PD. A quel punto la cosa più verosimile sarebbe, per prassi nota e consolidata, un governo “tecnico”.
Questo spiega come mai l’ex Cavaliere, sempre giovedì, abbia ridetto tramite i media, anche lui, a Renzi, di starsene calmo, perché del prosieguo si potrebbe discuterne assieme, anziché beccarsi tutti e due tra capo e collo il Monti, o meglio, il Draghi di turno.
Non aggiungo lunghe considerazioni sullo scenario (o sugli scenari) in caso di vittoria del SI.
E’ il risultato cui sta tirando la volata la grande stampa italiana. Non so se si rendono conto dello scenario di destabilizzazione che si aprirebbe, o se, rendendosene conto, sia esattamente quello che vogliono. Non è davvero un comportamento, a mio avviso, molto responsabile e nemmeno, mi si perdoni il termine un po’ vetusto, “patriottico”.
Non ci vuol molto a immaginare che sarebbe uno scenario da inaudito clima da resa dei conti.
In pratica il 5 sarebbe Renzi a convocare Mattarella facendolo scendere a Palazzo Chigi per spiegargli il nuovo assetto dei poteri e dare lui la linea al Presidente della Repubblica su cosa fare.
Tecnicamente -salvo un altolà della Corte Costituzionale sull’Italicum e col minimo ostacolo dell’ineleggibilità al Senato dei consiglieri regionali delle Regioni speciali- il nuovo assetto istituzionale sarebbe pronto anche per un lavacro politico attraverso elezioni anticipate immediate.
Il mulino della politica tende a macinare, comunque, ad onta delle gravi divisioni che il referendum-plebiscito ha seminato tra la gente normale. E, attorno al tavolo, di giocatori non ce ne sono solo due, nel Parlamento e nel Paese.

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