Paraguay, la scommessa del Vescovo-Presidente

5 Maggio 2008
2 Commenti


Gianluca Scroccu

Con la vittoria alle elezioni presidenziali del 20 aprile scorso di Fernando Lugo si è registrata l’ennesima svolta progressista in Sudamerica (unica eccezione: la Colombia di Álvaro Uribe). Il vincitore ha ottenuto il 40% dei consensi, dieci punti in più della sua avversaria del Partido Colorado, Blanca Ovelar, e oltre venti rispetto al terzo candidato, l’ex generale golpista Oviedo. Un risultato ampiamente previsto, ma che si temeva potesse essere vanificato da brogli e violenze, per fortuna non verificatesi.
Del resto il Paraguay è il paese che ha conosciuto la dittatura sanguinaria di Stroessner (durata dal 1954 al 1989, quando venne finalmente estromesso dal potere), un sistema di potere basato sulla violenza e la corruzione, dove il presidente si faceva eleggere con più del 90% dei consensi con la conseguente totale identificazione fra Partito e Stato.
Da allora, dopo anni di incertezze e di una transizione democratica mai pienamente avvenuta a causa del dominio del Partito Colorado e della presenza dei militari che continuavano ad avere un ruolo fondamentale, si aspettava la svolta che potesse rilanciare la speranza di questo povero stato senza sbocco al mare e schiacciato tra Brasile, Argentina e Bolivia, famoso per la colonizzazione delle missioni dei gesuiti. Il cambiamento pare finalmente essersi realizzato con la vittoria di Lugo, una personalità davvero singolare per tanti motivi. Si tratta infatti del primo vescovo cattolico che diventa Capo di Stato (solo un altro religioso è diventato presidente, sempre nel continente americano: si tratta dell’haitiano Aristide, ex sacerdote salesiano, che però non ha certo fornito una grande prova di governo). Nel dicembre del 2006 Lugo aveva presentato la richiesta di riduzione allo stato laicale che Ratzinger gli negò, comminandogli la sola sospensione a divinis. La sua candidatura era nata da un’ampia spinta popolare, appoggiata da una petizione di centinaia di migliaia di persone che avevano imparato ad apprezzarlo come vescovo di San Pedro Apostol, una delle diocesi tra le più povere, dove aveva organizzato cooperative per sostenere i consumi dei contadini e combattere così, attraverso il movimento Tekojoja (che in lingua guaranì significa uguaglianza) il duro regime latifondiario architrave del potere di Stroessner.
In vista delle presidenziali Lugo ha guidato una “Alianza Patriótica por el cambio” assai eterogenea visto che spazia da formazioni di stampo comunista e socialdemocratico ad altre vicine al liberalismo e al movimento democratico cristiano. Nonostante le divergenze (si pensi solo alle forze che chiedono una legislazione sull’aborto e il divorzio che Lugo come cattolico non approva e che comunque giudica secondaria rispetto ai problemi sociali ed economici)  tutti gli alleati hanno sottoscritto un “Programma básico de gobierno” che rappresenta il minimo comune denominatore della coalizione.
Il  presidente-vescovo, che entrerà in carica in agosto, giustifica il suo impegno politico come una missione per restituire dignità alla gente, cancellando la corruzione endemica in modo da riportare onestà, trasparenza ed efficienza nella pubblica amministrazione per garantire equità agli investimenti pubblici e privati. In questo è evidente il portato del messaggio sociale della sua esperienza pastorale e la sua adesione alla Teologia della Liberazione (avversata sia da Giovanni Paolo II che da Benedetto XVI) secondo la quale la Chiesa (contrastata per la sua impostazione dogmatica, ma a cui uomini come Lugo vogliono continuare ad appartenere) non può voltare le spalle alla nuova situazione politica sudamericana nata come superamento delle disastrose politiche dei decenni precedenti.
Lugo sa bene che il Paraguay non ha la ricchezza di risorse naturali di paesi come il Venezuela e la Bolivia, per non parlare dei colossi Brasile ed Argentina. Sa però che al suo paese, se vuole risalire ed arrestare l’emigrazione massiccia dei suoi giovani, serve al più presto una buona riforma agraria con la immediata creazione di un catasto agricolo nazionale per garantire ai 300 mila campesiños formazione, assistenza tecnica, incentivi alla creazione di cooperative (con un sistema di credito più accessibile per le piccole e medie imprese).
E poi la seconda riforma, ovvero la ricontrattazione del prezzo dell’energia idrica venduta a Brasile ed Argentina (ora concessa, in base ad un accordo firmato da Stroessner, a prezzo di costo e non a quello di mercato) che si inquadra anche in suo personale tentativo di riequilibrio dei poteri tra gli stati aderenti al Mercosur.
Lugo ha disegnato una sua personale via per lo sviluppo del suo popolo: si definisce progressista ma non lo spaventa la parola socialista in quanto ritiene che gli interessi della società debbano avere la preminenza rispetto a quelli individuali e che, in quest’ottica, lo Stato  deve intervenire quando si verifica l’abuso del capitale privato. La sua politica di uguaglianza è molto legata al suo cattolicesimo e non ha radici nella lotta di classe; non può essere assimilata ad esperienze come quella del caudillismo supportato dai petrodollari di Chavez o a quella di Evo Morales (che pure Lugo stima), con vicinanze maggiori, semmai, con il neocapitalismo sociale di Lula e della Bachelet.
Ma al d là delle etichette, l’ascesa del nuovo presidente del Paraguay è l’ennesima dimostrazione di un Sud America che sta dimostrando una vivacità, un’indipendenza (specie dagli Stati Uniti) e una voglia di riscatto che possono portarlo non lontano dal sogno bolivariano di un continente libero ed integrato pronto a ricoprire un nuovo ruolo nella geopolitica mondiale.

P.S. Per capire meglio l’evoluzione politica del continente sudamericano si consigliano, tra i tanti, due volumi pubblicati di recente:

V. CASTRONOVO, Piazze e caserme. I dilemmi dell’America Latina dal Novecento a oggi, Laterza, 2007.

M. CHIERICI, La scommessa delle Americhe. Viaggio nel futuro dell’America Latina: bandiere rosse, bandiere rosa, Einaudi, 2007.

2 commenti

  • 1 Antonello Murgia
    5 Maggio 2008 - 23:14

    Concordo con le cose che hai scritto e credo che oggi l’America Latina rappresenti, dopo secoli di violenze e di diritti negati, la grande speranza del pianeta. Tra le fonti per conoscere meglio questo subcontinente c’è anche LatinoAmerica, (http://www.giannimina-latinoamerica.it), il sito diretto da Gianni Minà e che ha svolto un ruolo di controinformazione rispetto alle notizie filtrate dal gigante USA che mal sopporta chi si ribella alle sue multinazionali. Piuttosto, mi risulta che il Paese non sia poi così povero. Il problema, come per il resto del Sud America è il grave squilibrio fra l’oligarchia economico-politica (latifondisti-Colorado) e la restante popolazione (circa metà della popolazione con reddito al di sotto della soglia di povertà). Ma possiede, dato che diventerà economicamente sempre più importante, una delle più grandi risorse idriche del pianeta che significa anche grandi quantità di energia idroelettrica. Insomma, forse ha le potenzialità per diventare un piccolo Canada del Sud America.

  • 2 Gianluca Scroccu
    6 Maggio 2008 - 23:00

    Caro Antonello grazie per il tuo intervento e le osservazioni: hai ragione, il sito di Minà è un ottimo osservatorio sul Sud America (a proposito: come mai in Rai non lavora più? Sappiamo tutti la risposta!).

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