Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ci lasciano dietro. Possiamo fare uno scatto?

2 Marzo 2018
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Andrea Pubusa

Leggo sull’agenzia ANSA. E’ stato firmato a Palazzo Chigi l’accordo sulla cosiddetta autonomia differenziata tra il Governo, rappresentato dal sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, e le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Com’è stato possibile e cosa prevede? Si tratta di un accordo preliminare per la cosiddetta autonomia differenziata tra il governo e le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. L’intesa prevede “forme e condizioni particolari di autonomia” che le Regioni assumono come prevede l’articolo 116 della Costituzione all’interno di due elenchi: le 20 competenze concorrenti tra Stato e Regioni, dal commercio con l’estero alla ricerca, all’energia, e le tre competenze esclusive dello Stato, cioè giustizia di pace, istruzione e tutela dell’ambiente. Le prime a muoversi sono state Veneto e Lombardia, dopo l’esito positivo del referendum sull’autonomia dello scorso 22 ottobre, seguite subito dopo dall’Emilia Romagna senza bisogno di una (costosa) consultazione popolare. L’autonomia differenziata è possibile grazie all’articolo 116, comma terzo, della Costituzione. Estensore del comma dell’articolo 116 è stato proprio il sottosegretario Bressa durante la riforma della Costituzione del 2001.
In sostanza le tre Regioni hanno chiesto le competenze – altre si sono poi accodate – e lo Stato ne ha misurato il costo e ha calibrato le risorse in base ai nuovi compiti accordati all’amministrazione regionale. Le prime a muoversi sono state Veneto e Lombardia, dopo l’esito positivo del referendum sull’autonomia dello scorso 22 ottobre, seguite subito dopo dall’Emilia Romagna senza bisogno di una (costosa) consultazione popolare. L’autonomia differenziata è possibile grazie all’articolo 116, comma terzo, della Costituzione. Estensore del comma dell’articolo 116 è stato proprio il sottosegretario Bressa durante la riforma della Costituzione del 2001.
La mossa a pochi giorni dalle elezioni ha un indubbio sapore elettoralistico. Il PD considera persi Veneto e Lombardia, ma vuole tenersi l’Emilia Romagna, dove teme la concorrenza di LeU. Non a caso il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, mette le mani avanti: “Il prossimo Parlamento e il Governo non potranno non tener conto di questo accordo” Mentre Zaia e Maroni cantano vittoria e parlano di “giornata storica”. Un vero regalo elettorale alla Lega! Non finisce di stupire l’autolesionismo dei dem…
Si tratta di un accordo preliminare, per ora non assegna e trasferisce nulla. Ma, per i soggetto che l’hanno firmato, possibili parti di una futura maggioranza centrodestra PD, sembra destinato a resistere e ad avere seguito. Bonaccini rivendica alla sua Giunta anche una certa pragmaticità: “Noi non avevamo fatto il referendum né Regioni a statuto speciale ma quello che avevamo immaginato come Emilia Romagna si è dimostrato essere una scelta giusta, senza slogan ma con fatti concreti. Non sono più risorse da Roma ma più risorse trattenute alla fonte per la gestione di alcune competenze, per garantire alcune peculiarità: penso al manifatturiero, l’istruzione o l’ambiente”. “In un prossimo accordo – ha aggiunto – si dovrà determinare il superamento della spesa storica per passare ai costi standard che saranno un approdo importante per tutto il Paese. Questa è una opportunità per tutte le Regioni, non c’è più un nord o un sud: noi ci sentiamo italiani prima che emiliano romagnoli”.
Che dire dal versante sardo? Poche chiacchiere, riprende, ammesso che sia mai cessato, l’inseguimento delle Regioni speciali a quelle ordinarie. Volete una prova simbolica di questo? Mentre Zaia, Maroni e Bonaccini siglavano questo accordo, preliminare ma sostanzioso, Pigliaru in una stanza vicina sottoscriveva con Minniti un “patto” per mettere un po’ di telecamenere nelle strade, connettere i corpi militari statali con quelli regionali e locali e fare un po’ di statistiche! Aria fritta!
Una lezione per tutti noi sardi pelliti. Anzitutto, esempio di pragmaticità per i referendari insulari che chiedono un referendum non previsto da alcuna norma e frustrano una spinta popolare forte, testimoniate dalle quasi centomila firme raccolte. Un segnale anche per i sovranisti di vario genere e gli autononisti spinti. Ci vuole fantasia, ma anche molta concretezza. Lombardia e Veneto si sono mosse nel rispetto dell’art. 116 Cost. e non hanno avuto sorprese. Non sono andati prima a farfalle e non hanno dovuto fare la solita litania lamentatoria. Non hanno raggiunto lancora l’obiettivo, ma hanno fatto un grosso passo in avanti. Vogliamo provarci anche noi? Con concretezza e nel rispetto del diritto. Intanto, mettendoci tutti d’accordo per darci una legge che restituisca a tutti sardi il potere di eleggere il Consiglio regionale, poi ridando rappresentanza e peso ai territori con province, riformate quanto si vuole, ma elettive e realmente rappresentative, e in contemporanea, apprendo un confronto con lo Stato con obiettivi ambiziosi, ma ragionevoli, ossia raggiungibili. Non le astruserie di impossibili Costituzioni sarde o di vie catalane di vario genere, da lasciare a tempi migliori. Perché non ripartire dall’art. 13 dello Statuto? Creiamo una proposta organica di sviluppo, su cui fare il patto con lo Stato e chiederne il concorso per realizzarlo. La legge fondamentale dei sardi ci offre ancora uno strumento formidabile, che le altre regioni non hanno, e che non si è consumato una tantum col Piano di Rinascita. Possiamo riprenderlo, magari dandogli un nome nuovo e, certamente, contenuti attuali. Su questo dobbiamo costruire un movimento vasto e unitario: una mobilitazione popolare vera. Prima bisogna mettere le cose a posto dentro di noi sul piano istituzionale e progettuale. Ritrovando l’unità. Ci proviamo? Chi prende l’iniziativa?

 

 

 

 

 

 

 

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