La questione euromediterranea e il rilancio della specialità sarda

23 Aprile 2009
1 Commento


Andrea Raggio

Questa volta il ministro Brunetta se l’è presa con la specialità delle regioni autonome. Gli è stato risposto ricordando le ragioni storiche permanenti della specialità sarda. Aggiungo qualche considerazione sulle ragioni attuali legate all’insularità e altrettanto importanti.
L’idea di fare della centralità mediterranea della Sardegna una potente leva dello sviluppo è maturata col Processo di Barcellona. La conferenza svoltasi nella città catalana nel novembre 1995 ha gettato le basi della cooperazione euromediterranea al fine di garantire la sicurezza e la stabilità della regione, favorire lo sviluppo economico nella prospettiva della creazione nel 2010 di una zona di libero scambio e promuovere gli scambi culturali. Nel dicembre 2007 Nicolas Sarkozy, José Zapatero e Romano Prodi, insoddisfatti dei risultati raggiunti, hanno firmato un accordo per promuovere l’Unione per il Mediterraneo (UpM), istituita col vertice di Parigi del luglio 2008. La finalità è quella di dare maggiore incisività alla politica mediterranea mediante l’attuazione di grandi progetti trasversali e regionali di carattere economico-ambientale, sociale e infrastrutturale.
La UpM nasce come accordo tra gli Stati che si affacciano nel Mediterraneo e, quindi, come organizzazione intra-mediterranea, distinta dalle precedenti iniziative dell’Unione europea. Questa sovrapposizione ha sollevato, soprattutto negli Stati non mediterranei dell’UE, perplessità che sembra siano ora avviate a superamento. Il Parlamento europeo, infatti, nel febbraio scorso ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione che sostiene la “necessità di rinnovare profondamente l’intera politica euromediterranea, rafforzandone la dimensione politica e il co-sviluppo”, e afferma che l’iniziativa UpM non è alternativa ma complementare. Il co-sviluppo, diversamente dalla politica degli aiuti, è caratterizzato dalla co-responsabilità e mira a superare la rigida distinzione tra emergenza e sviluppo. L’obiettivo è “fare del Mediterraneo il più grande laboratorio al mondo del co-sviluppo, dove lo sviluppo si decide insieme e si domina insieme, dove la libertà di circolazione degli uomini si costruisce insieme e si domina insieme, dove la sicurezza si organizza insieme e si garantisce insieme” (Nicolas Sarkosy).
Il rilancio su queste basi della strategia euromediterranea risponde all’esigenza di uscire dalla crisi aprendo nuove vie dello sviluppo e delinea per la Sardegna la prospettiva di regione cerniera tra l’Europa e i paesi dell’altra sponda. L’insularità, dunque, non più fonte di diseconomie ma punto di forza di una nuova fase della rinascita e della Autonomia speciale. Se è vero, infatti, che le ragioni storiche contingenti della specialità sono in parte superate, è altrettanto vero che la questione euromediterranea ne porta nuove e più forti perché legate all’interesse non solo regionale ma nazionale e comunitario. Queste sollecitano la ricerca di nuove e più avanzate forme di autonomia e una ridefinizione delle finalità della riforma statutaria.
Siamo, ovviamente, solo alle premesse di un processo che è tutto da costruire ed è in questa impresa che dovrebbero impegnarsi le forze politiche, sociali, culturali e le Istituzioni. Innanzi tutto occorre adeguare la politica regionale dell’Unione europea agli obiettivi delineati dalla UpM. Mi riferisco non solo al concetto di insularità, introdotto nel Trattato di Amsterdam e poi mortificato in quello di Lisbona, ma all’insieme dei provvedimenti in materia di coesione. Gli interventi dei Fondi strutturali sono tuttora ancorati ai livelli del PIL mentre andrebbero commisurati alle potenzialità delle singole regioni, così come andrebbe estesa all’intera area mediterranea la rete transeuropea dei strasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni e favorita la fiscalità di vantaggio. Nelle stesse direzioni dovrebbero essere orientate le politiche nazionali. Il Governo italiano, diversamente da quelli francese e spagnolo, non sembra volersi impegnare in questa direzione e trascura le possibilità che la politica euromediterranea apre alle regioni meridionali. Il provvedimento delega sul federalismo fiscale, a proposito degli interventi per lo sviluppo delle regioni deboli non va oltre la vecchia pratica degli aiuti e la tanto strombazzata norma sul principio di insularità, in realtà impegna il Governo a una “valutazione della specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall’insularità”, è cioè generica, prevede tempi lunghi ed è, comunque, limitata al superamento delle diseconomie interne. La Regione, infine, su quest’argomento è completamente appiattita sulle posizioni del Governo mentre vi è necessità di una forte iniziativa politica e di una radicale revisione dei programmi.
E’ auspicabile, infine, che l’opposizione non si limiti a denunciare il vuoto di iniziativa anche in questo campo del Governo e della Giunta ma si faccia carico di promuovere un’ampia mobilitazione politica, sociale e culturale e di porre la questione euromediterranea al centro della campagna elettorale per il Parlamento europeo.

1 commento

  • 1 Bomboi Adriano
    23 Aprile 2009 - 13:17

    Concordo con la lettura della situazione esposta ma tuttavia dobbiamo domandarci: E’ pensabile che dei partiti centralisti, oggettiva emanazione di quel sistema che inibisce il nostro sviluppo, possano porre in essere la giusta contromisura al problema? Non staremo facendo il passo più lungo della gamba? Probabilmente tali tematiche potrebbero essere esposte in maniera lineare da uno o più partiti territoriali, non vincolati (ad esempio) come in queste elezioni europee ai giochi di squadra romani. Ma in Sardegna disponiamo di questi strumenti politici? Sono adeguati? Prima insomma di risolvere i problemi della Sardegna, dovremo anche osservare l’utilità o meno delle sigle territoriali Sarde oggi divise ed inconsistenti sotto il profilo amministrativo.

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