Regole o mano libera per il funzionamento del mercato?

10 Agosto 2021
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26 Aprile 2009
Gianfranco Sabattini

 

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sono giunti alla loro terza fatica nel dimostrare e sostenere la necessità del ricupero del mercato ad asse portante dell’universo economico, purché liberato da tutti i “lacci e lacciuoli” di natura politica che ne hanno sino ad un recente passato condizionato il corretto funzionamento. I due autori, nel loro ultimo lavoro (La crisi. Può la politica salvare il mondo?, 2008), traendo spunto dal fatto che di fronte alla crisi finanziaria che ha travolto complessivamente quasi tutta l’economia mondiale siano subito emerse analisi e proposte semplicistiche nel presupposto che il capitalismo sia finito per cui sia consequenziale un ritorno dello stato per guidare l’economia, imbrigliare la finanza e frenare la globalizzazione, respingono senza possibilità di appello il refrain della supposta superiorità della politica sull’economia, affermando che la “politica ha il diritto ed il dovere di fissare le regole, ma come ogni croupier imparziale non deve mai sedersi al tavolo da gioco”. A differenza dei loro precedenti lavori, però, i due autori non si sono solo limitati a suggerire come ricuperare il mercato o come assicurare garanzie sociali minime a coloro che, a seguito della “liberazione del mercato”, ne dovessero subire prevalentemente le conseguenze negative. Essi ora ribadiscono che la centralità del mercato non significa che “lo stato non debba giocare alcun ruolo nell’economia”; lo stato, a fronte della libertà del mercato e dell’allargamento del processo di globalizzazione delle economie nazionali, ha compiti e doveri numerosi ed importanti, tra i quali sono “sacrosanti” quelli di soddisfare “la domanda di sicurezza economica” attraverso vari “meccanismi di assicurazione sociale” e quello di “ridurre povertà e disuguaglianza”. Ciò che, perciò, per gli autori, è indispensabile al il corretto funzionamento del libero mercato è un’efficace assicurazione contro la disoccupazione e l’adozione di misure contro ogni forma iniqua di disuguaglianza del prodotto sociale e non la protezione di imprese che non riuscissero più a stare sul marcato. Difendendo i posti di lavoro e l’iniqua distribuzione del prodotto sociale anziché i lavoratori ed i cittadini si finisce per creare problemi infinitamente più costosi. Alesina e Giavazzi considerano anche il fenomeno della globalizzazione come conseguenza della progressiva liberalizzazione del commercio internazionale sorretto da liberi mercati nazionali; essi, perciò, respingono le critiche, sia dei no-global di sinistra, secondo i quali la globalizzazione sarebbe un male per tutti i poveri del mondo, sia dei no-global di destra, secondo i quali l’internazionalizzazione delle economie nazionali avrebbero danneggiato i paesi ricchi.
Le considerazioni degli autori sulla debolezza delle critiche degli oppositori al processo di integrazione delle economie nazionali sono sicuramente valide; la povertà a livello globale è diminuita e se anche la disuguaglianza è aumentata all’interno dei paesi ricchi, le opportunità offerte dall’approfondimento e dall’allargamento della globalizzazione per la riduzione del solco che sino ad alcuni decenni addietro divideva i paesi poveri dai paesi ricchi sono enormemente aumentate. Ciò che, però, manca a livello internazionale è una regolazione statuale che gli autori giudicano “sacrosanta” all’interno di ogni singolo sistema economico, mentre non fanno alcun riferimento alla necessità di assicurarla, secondo le stesse modalità, anche a livello internazionale, attraverso l’azione di un “governo mondiale” in luogo della molteplicità delle istituzioni regolatrici oggi esistenti, all’interno delle quali il potere decisionale non sempre risulta equamente distribuito. Conseguentemente, il disegno degli autori di ricuperare al centro dell’universo economico la centralità del mercato a tutti i livelli, occorrerà aprirlo all’urgenza di garantire sicurezza economica, eliminazione della povertà e riduzione della disuguaglianza, così come essi riconoscono debba avvenire a livello di ogni singolo sistema economico, a tutti gli stati coinvolti dalla globalizzazione. A tal fine, occorrerà però una qualche forma di organizzazione istituzionale che sia in grado di garantire la soluzione dei problemi ad elevata complessità quali sono quelli connessi al governo, in condizioni di stabilità e di condivisione delle relazioni, delle relazioni tra gli stati all’interno dell’economia mondiale. Queste ultime considerazioni servono solo ad indicare che la necessità di regolare le relazioni tra gli stati in presenza dell’internazionalizzazione delle economie nazionali non vuole significare che la costituzione di un governo mondiale debba essere subordinata al vincolo del “tutto-o-nulla”, cioè alla necessità che il governo sia costituito istantaneamente, pena il ricorso all’introduzione di freni protezionistici al processo di globalizzazione in atto; vuole, invece significare la necessità che un approccio realistico al ricupero della centralità della libertà del mercato per garantire il corretto funzionamento delle istituzioni economiche non possa limitarsi ad indicare l’urgenza di un impegno regolatore dello stato all’interno dei singoli sistemi economici e tacere sull’urgenza che un identico impegno regolatorio, da realizzarsi in modo progressivo nel tempo attraverso istituzioni della stessa natura di quelle operanti all’interno degli stati nazionali, occorre assicurarlo anche a livello mondiale.

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