Referendum costituzionale in Cile: un processo riformatore in cammino

7 Settembre 2022
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Rosamaria Maggio

Con un referendum popolare, nel 1988, il Cile pose fine in modo pacifico alla dittatura di Pinochet.
I governi democratici successivi apportarono modifiche alla Costituzione emanata durante la dittatura e l’istanza di una nuova Costituzione venne accantonata.
Nel 2019, a seguito di un’ondata di proteste, soprattutto dei movimenti femministi e dei giovani, Capo dello Stato Sebastian Pinera, venne deciso un Referendum popolare per superare o meno la Costituzione di Pinochet.
Il 25 ottobre 2020 si tenne il Plebiscito Nazionale per il superamento della Costituzione pinochettina  (Rechazo) o la elaborazione di una nuova Costituzione (Apruebo) : vinse Apruebo e venne eletta un’Assemblea costituente paritaria e cioè con una equa rappresentanza di uomini e donne e la partecipazione delle comunità indigene.
Dopo un momento molto partecipato, anche per le vicende di violenza che i dimostranti subirono a seguito della repressione attuata dalle forze dell’ordine, vinse Apruebo: centinaia di manifestanti persero la vista per l’uso di armi con proiettili di gomma che miravano ad annientare l’oppositore senza ucciderlo. La popolazione fu toccata da queste vicende e disse basta ad un sistema ancora intriso da comportamenti istituzionali violenti e fascisti.
Se il Plebiscito del 2020 si fosse svolto in Italia, avrebbe sancito la decisione di avere una Costituzione democratica ed oggi il Cile avrebbe la nuova Costituzione dove, oltre al resto, vengono riconosciuti i diritti delle donne e degli indigeni.
Ma in Cile il sistema è diverso dal nostro e quindi, anche se il superamento della Costituzione di Pinochet rimane sancito, questa Costituzione, elaborata da una Assemblea costituente fortemente rappresentativa, è stata rifiutata (Rechazo), e dovrà essere modificata e riproposta ai cittadini.
Quindi in un diritto costituzionale comparato bisogna dire tutta la verità che i nostri giornalisti omettono.
Inoltre il voto è stato reso obbligatorio.
Come ci insegnano i nostri costituzionalisti, qualunque testo costituzionale deve essere metabolizzato per essere compreso e osservato. E questo è il pregio delle Costituzioni “vecchie”.
Penso a quanto poco si conosca la nostra che ha ormai 74 anni (è ancora giovane), ma non è completamente attuata.
Ritengo quindi che il voto cileno, più che sui 334 articoli della nuova Costituzione, possa essere considerato un voto politico emesso sulla base delle posizioni dei fronti contrapposti.
Per questo il giovane Presidente Gabriel Boric, in carica da appena 7 mesi e mezzo, ha proposto un immediato rimpasto di Governo, seguito ad un incontro tra maggioranza ed opposizione, per aprire immediatamente un dialogo e modificare le parti più controverse della nuova Costituzione.
Questo è necessario per portare avanti il suo programma politico di riforma. Teniamo presente che, così come negli USA, fonte di ispirazione della economia pinochettiana, non esiste un sistema sanitario nazionale di tipo europeo e pertanto per poter essere curato il cileno deve sottoscrivere una assicurazione privata. Il che impedisce ai meno abbienti di essere realmente curati.
Inoltre il sistema scolastico riserva alla scuola pubblica le briciole, in favore di un sistema privato. Tutti settori in cui il premier Boric intendeva apportare fondamentali riforme.
Vi è poi il tema dei diritti degli indigeni mai riconosciuti. Ricordiamo le lotte dei Mapuches, popolo coraggioso che dai tempi della occupazione spagnola dettero filo da torcere e resero difficile la penetrazione dell’occupante verso la Patagonia, ma anche altri popoli minoritari dimenticati dagli uomini e da Dio, come gli Aymara, Rapa Nui, gli Atacamenos, i Quechua, i Colla, (circa 2 milioni di persone su 16 milioni di cileni). Su questo problema la nuova Costituzione prevede un sistema giudiziario separato e questo è stato giudicato negativamente dall’opposizione.
Infine il tema dei diritti delle donne.
Partendo dalla denuncia del gruppo femminista de Las Tesis che con la canzone”Un violador en tu camino” viene denunciata la condizione della donna in Cile.
“Il patriarcato punta il dito e ci giudica impunito. Il nostro castigo è la violenza che ora vivo. Femminicidio. Impunità per l’assassino. È l’abuso, è lo stupro. E la colpa non è la mia, né dentro casa, né per la via. L’assassino sei tu, lo stupratore sei tu”. Con il volto dipinto di nero, le donne hanno trasformato il ritornello in un inno mondiale: “E la colpa non era mia né di dove stavo né di come vestivo. Lo stupratore eri tu”. La performance ha denunciato non solo un’ingiustizia sociale ma anche la repressione della polizia. In trenta giorni di manifestazioni, Human rights watch ha registrato 71 denunce di abusi sessuali. A Santiago molte donne più anziane si sono unite alle più giovani. E questo ha fatto scendere il popolo nelle strade, costringendo il presidente cileno Sebastián Piñera a proporre un nuovo patto sociale che portasse alla scrittura di una nuova Costituzione.
Questo processo è ancora in moto. Ha subito un rallentamento, ma non dovrà essere riscritta tutta la Costituzione bensi’ solo quelle parti rispetto alle quali forse il paese non è ancora pronto.
I processi di cambiamento sono lenti. A volte partono dal basso, altre volte è la politica che deve fare da apripista. Il Cile è in cammino. Hasta Siempre!

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