Come uscire dalla crisi

19 Settembre 2009
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Gianfranco Sabattini

Il numero 3 del corrente anno del bimestrale del riformismo italiano Italianieuropei ha dedicato una sua sezione al problema della crisi mondiale dei mercati finanziari che ha coinvolto la stabilità della crescita e dello sviluppo di gran parte delle economie del mondo. Tutti i contributi (di Pasquale Ferrara, Alberto Quadrio Curzio, Stefano Fassina e Altri) sottolineano la necessità di definire, per uscire dalla crisi, una governance globale, fatta di un mix di scelte politiche e di politiche di intervento, condivise dai paesi ricchi e dai paesi emergenti, per la transizione verso un ordine mondiale diverso rispetto a quello che ha preceduto lo scoppio della crisi. Ciò che sembra emergere da gran parte dei contributi è la preoccupazione di pervenire all’adozione, a livello mondiale, di “nuovi regimi”, ovvero di nuovi accordi per il governo dei mercati finanziari, condivisi sul piano del consenso da un numero di paesi che rappresentino la quota più alta possibile del PIL mondiale coniugato alla quota più alta possibile della popolazione mondiale. Quanto emerge dalle analisi è la carenza della considerazione che, quale che sia la nuova politica o le nuove politiche pubbliche che potranno essere adottate, la nuova governance globale può avere successo solo se il nuovo governo dei mercati finanziari non sarà realizzato solo attraverso l’allargamento degli organismi internazionali decidenti esistenti, ma se si riuscirà a fondare la governance stessa, oltre che su misure ridistributive interne ai diversi paesi integrati nel mercato mondiale, anche su un riequilibrio macroeconomico globale attraverso una riditribuzione mondiale della capacità produttiva, per rimuovere il solco che ancora divide i paesi ricchi dai paesi poveri.
La necessità di eliminare lo squilibrio esistente tra paesi ricchi e paesi poveri deve, infatti, ritenersi la conseguenza del fatto che l’equilibrio macroeconomico preesistente la crisi era instabile perché insostenibile dal punto di vista economico e dal punto di vista sociale; ciò, in quanto retto da una domanda globale dei paesi ricchi (in special modo dagli USA) finanziata per lo più dal risparmio che sarebbe stato realizzato dalle classi medie delle economie emergenti (in special modo della Cina) perchè insicure del loro status, normalmente sprovvisto dei servizi propri del welfare state. E questa la ragione perché la domanda globale dei paesi ricchi finanziata, a debito, dai paesi emergenti debba essere contenuta con la rifondazione dell’equilibrio macroeconomico globale e con la corrispondente rifondazione dell’equilibrio economico-sociale interno di ogni sistema economico nazionale; ciò, per riorientare la relazione tra la domanda interna e le esportazioni attraverso l’aumento dei redditi diretti ed indiretti (trasferimenti) delle classe medie sinora sacrificate in termini di disponibilità di potere d’acquisto. A tal fine sarebbe necessario una ristrutturazione del governo della finanza mondiale per allargare l’attuale G8 (ossia del G7 allargato alla Federazione Russa) sino a realizzare un G20, costituito dai paesi economicamente più importanti del mondo, il cui PIL complessivo ha un’incidenza di oltre l’84% sul PIL mondiale, mentre la sua popolazione ha un’incidenza di oltre il 66% sulla popolazione mondiale. Vi è anche chi propone che la struttura del G20 possa avere una “geometria variabile”, ovvero una composizione variabile in funzione dei problemi che, di volta in volta, devono essere risolti in presenza di un più funzionale rapporto tra strutture di governo, funzioni ed obiettivi da realizzare in tutte le circostanze in cui le strutture sono chiamate a decidere sulla base di un reale ed effettivo global consensus group. Rispetto al “Gruppo Allargato”, quale che sia la sua composizione, il G8 dovrebbe agire come gruppo convocatore ed organizzatore. E’ all’interno di questa visione che dovrebbe potersi realizzare, per uscire dalla crisi, un “New Deal globale fondato sul lavoro per ricostruire le democrazie della classi medie”.
In realtà, considerando che i fenomeni finanziari sono lo specchio dei fenomeni reali, la crisi mondiale dei mercati finanziari può essere curata, non solo con scelte politiche e politiche di intervento di natura ridistribuiva all’interno dei singoli sistemi economici, ma anche con un’azione concertata, partendo da un patto globale tra tutti i paesi interessati ad uscire dalla crisi, in base al quale i paesi ricchi dovrebbero aumentare più di quanto hanno fatto sinora la loro assistenza alla crescita ed allo sviluppo dei paesi emergenti e di quelli ancora in ritardo sulla via della crescita e dello sviluppo. Per realizzare un simile scenario, sarebbe però necessario un “patto”, sorretto da un global consensus attraverso il quale definire le modalità della sua realizzazione. Il patto globale dovrebbe trovare la sua forza legittimante nell’interesse alla sua attuazione che dovrebbe essere avvertita da tutti; ciò, in quanto il fallimento della sua attuazione potrebbe portare al consolidamento di ciò che tutti temono, ovvero al pericolo che il mondo anziché essere governato da un G20 o da altra struttura allargata, sia governato dal un G2, cioè soltanto dal “condominio” degli USA e della Cina.

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