Il cul de sac afghano

18 Settembre 2009
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A.P.

Senza vergognarsi, ancora oggi i nostri politici parlano, con la sola eccezione di Bossi, della necessità di rimanere in Afghanistan per esportarvi la democrazia. Non tengono conto di quali severe e reiterate smentite questa teoria abbia ricevuto dai fatti e dalla storia. In realtà, la democrazia non è stata mai trapiantata, la si può solo aiutare a crescere, quando già germoglia in uno Stato ed è soffocata da forze antidemocratiche e dittatoriali. Solitamente in questi casi sono attivi movimenti di resistenza, che giungono perfino a formare governi provvisori, all’interno o all’estero, con un radicamento diffuso fra la popolazione. C’è poi un programma mobilitante di nuova Costituzione, di elezione di un’Assemblea costituente e così via. Gli esempi sono tanti nella storia, passata e recente, non ultima la resistenza in Europa contro il nazifascismo, con esponenti come De Gaulle, Adenauer, Brandt, Pertini, Nenni, Togliatti, De Gasperi e via dicendo.
Le esportazioni, ossia la calata dall’alto di modelli eteroimposti, non funzionano. Vale la pena morire a Kabul per Karzai? E’ questo il governo democratico da sostenere? Sarebbe bene ricordare a quale critica anche a sinistra fu sottoposto l’intervento sovietico in Afghanistan, che pure fu sollecitato da un governo più solido di quello attuale, e che cadde grazie all’aiuto ai talebani degli USA e degli occidentali, non appena i tank di Gorbaciov lasciarono quel Paese. Tuttavia, senza l’intervento occidentale a favore di Bin Laden, probabilmente l’Afghanistan non sarebbe caduto in mano talebana.
Certamente, la questione è complessa, ma forse gli interventi umanitari, alla Emergency, funzionano di più, perché hanno il consenso degli afghani. C’è poi da sviluppare una politica dell’area, che coinvolga le forze moderate interne e gli altri Paesi nell’obiettivo di isolare i talebani; e questo è impossibile se l’intervento ha il carattere del presidio di una zona d’influenza. Oggi è certamente così, e chi non gradisce questa preminenza occidentale in un’area strategica sul piano economico e politico, non solo non contiene i talebani, ma li finanzia e li arma. Esattamente come fecero gli USA contro la presenza sovietica. Su questo terreno, dunque, occorre una politica fortemente innovativa, che prosciughi l’acqua su cui nuotano i talebani. Per ora, però, Obama, che ha abbandonato la dottrina Bush in Irak e ieri anche in Europa, non ha introdotto alcuna novità a Kabul. Non ci resta, come opinione pubblica democratica, che spingere in questa direzione e attendere un  segnale del neo presidente americano, perché da Berlusconi, Frattini, Franceschini e & C. è impensabile aspettare una qualche iniziativa in favore di un diverso approccio alla trappola afghana.

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