La pietra non fa il pulcino

1 Agosto 2008
5 Commenti


Andrea Pubusa

Il pulcino nasce per virtù dell’uovo o del calore che lo riscalda? In fondo, questo è il quesito che si pongono molti sardi del centrosinistra quando s’interrogano (anche su questo blog) su come rapportarsi a Soru da qui alle elezioni regionali del 2009. E cioè la critica a Mister Unità non può favorire la destra? Non è meglio – dicono questi amici - turarsi ancora il mitico naso, che a forza di essere turato sta provocando l’asfissia dell’elettore, e acconciarci a votare Soru pur di sbarrare il passo ai berluscones locali. Voi direte: ma che c’entra il pulcino, l’uovo e il calore? C’entra, c’entra. Perché l’uovo, laddove gli si dia una quantità appropriata di calore, si trasforma in pulcino. Ma una pietra, per quanto riscaldata, non diventa pulcino perché la sua essenza è differente da quella dell’uovo. Ora, nel caso nostro il tasso del consenso è determinato essenzialmente da Soru, dall’azione del Presidente, non dal tifo o dalla propensione a votarlo, spesso priva di convinzione e di passione, dettati dalla volontà di sbarrare la strada al centrodestra. La buona volontà e la paura della destra sono solo cause esterne, come il calore con l’uovo. Senza una candidatura che lavora ad unire, non potrà mai esserci la passione che smuove e da entusiasmo, non può sperarsi nell’esito favorevole delle elezioni. Insomma, senza l’uovo non può nascere il pulcino.
In realtà, i critici di Soru dal centrosinistra sono di vario genere. Alcuni sono suoi oppositori interni che vogliono mantenere spazi di potere spesso non giustificabile. All’esterno molti vogliono battere Soru per tornare alle vecchie politiche. Altri, tuttavia, nel PD e fuori, vogliono mantenere della politica il tratto democratico e partecipativo. Non accettano il lento scivolamento verso una vita istituzionale e politica che della democrazia mantiene le parvenze, ma ne nega la sostanza. E’ significativo in proposito l’allarme lanciato in questo blog da un politico esperto e misurato come Andrea Raggio, che parla di “maledizione dell’autoritarismo”. Fra questi critici ci collochiamo anche noi che con questo obiettivo abbiamo fatto la battaglia contro la Statutaria e andremo in fondo per riportarla, se possibile, davanti alla Corte costituzionale. Non lo facciamo in odio ad alcuno, ma semplicemente per la difesa della democrazia. Perché soltanto la democrazia assicura il superamento delle sperequazioni. Non è mai esistito un ceto o una persona che hanno accentrato il potere per esercitarlo in favore dei più. L’esclusione delle masse dalle decisioni politiche è volta sempre e soltanto a colpire i ceti popolari in favore d’interessi ristretti. Non è solo l’iperpresidenzialismo che non condividiamo, ma il fatto che in fondo questa Statutaria è incentrata sulla legittimazione del conflitto d’interessi, risultato, questo, che più preme al Presidente. Si tratta di una questione di valenza più generale. Non solo in Italia ormai gli imprenditori o gruppi finanziari puntano, come strategia d’impresa o di gruppo, al controllo diretto del potere politico. Un tempo si esercitava una pressione sugli organi politici per far spazio ai propri interessi; era il potere politico a mediare fra una pluralità d’interessi. Oggi, senza più alcuna mediazione, gruppi imprenditoriali o magnati occupano direttamente le istituzioni. Da questo punto di vista Berlusconi e Soru non sono molto diversi. Il secondo, ormai proiettato con l’acquisto dell’Unità sulla scala nazionale, è un referente, con aspirazione a giocare un ruolo primario, di una cordata di finanzieri che non stanno col Cavaliere. Entrambi, Berlusconi come Soru, hanno necessità di un quadro normativo che espunga il conflitto d’interessi dalle cause d’ineleggibilità, che crei zone di esenzione dalla legalità. Insomma, Soru fa parte dei berluscones a pieno titolo, anzi è un protagonista del berlusconismo, seppure ancora su scala prevalentemente regionale.
Dobbiamo fingere di non vedere? Dobbiamo fare come tanti nel passato che hanno denunciato errori e misfatti solo molto tempo dopo ch’essi sono stati consumati. Ed allora a chi c’interroga sul che fare, rivogliamo a nostra volta un quesito: dobbiamo star zitti? Non dobbiamo compiere il nostro dovere di democratici perché chi piega la democrazia dice d’essere uno dei “nostri”?
Alcuni richiamano la caduta del governo Prodi a riprova che ad essere critici, talora si ottiene il risultato opposto, ossia il peggio anziché il poco. Ma intanto Prodi si è sempre mosso in una prospettiva chiaramente democratica. Non ha mai nutrito ambizioni monocratiche. Anzi, le ha combattute apertamente. E’ l’unico leader del centrosinistra che ha sempre, con coerenza e caparbietà, puntato a creare un ampio schieramento progressista, senza escludere nessuno. Ricordate l’Ulivo? Non diversa è stata l’idea dell’Unione. Il professore, anziché isolarli, ha messo Bertinotti sullo scranno più alto di Montecitorio e ha elevato Ferrero al rango di ministro. Voleva ch’essi contassero e che, nel contesto dell’alleanza, potessero far valere le loro idee. Ma loro non l’hanno capito e sono tornati ad essere quel che si meritano d’essere. Nel caso di Soru la prospettiva è invece capovolta: siamo in presenza di un personaggio che concepisce le alleanze soltanto come sottomissione e la critica come lesa maestà. L’autonomia di proposta è ammessa solo se funzionale al suo progetto, ossia non esiste. Che c’entra tutto questo con il pensiero democratico? Cosa c’è in comune fra il sorismo e la lezione di Berlinguer, dei Pertini e di tutti i leaders della sinistra? Non è quella di Soru una prospettiva e una cultura tipicamente di destra?
Ed allora, tornando all’uovo, alla pietra, al calore e al pulcino, per quanto ci si sforzi di essere accondiscendenti non si può trasformare un modo di pensare ed agire unilaterale di Soru in un’azione democratica, in un fattore di sviluppo della democrazia in Sardegna. Soru, per quanto si cerchi di giustificarlo e di assecondarlo non unisce, non crea convergenze e sinergie, non allarga il consenso, ovunque egli passa, genera solo rotture, lacerazioni e conflitto. La pietra, per quanto la si voglia riscaldare, non fa il pulcino.

5 commenti

  • 1 Andreina Madau
    1 Agosto 2008 - 15:54

    Credo che se fossi al posto di Soru sarei piccata almeno quanto lo è lui giacchè( tutti sapevamo che non è un politico di professione) dopo che l’abbiamo “lisciato” perchè si candidasse per mancanza di altre soluzioni abbiamo cominciato a dargli addosso perchè ha dovuto prendere decisioni impopolari (vedi la chiusura sacrosanta, secondo me, dei corsi professionali) Non c’è un giornale che non lo atterri ecc.ecc. ma ha qualcuno non interessato che potrebbe consigliarlo? Mi pare di no. Ora come ora chi sarebbe la persona valida che potrebbe sostituirlo? Allora non frughiamo troppo, il fondo lo stiamo già raschiando. La storia della pietra e del pulcino è troppo complicata per me, sono “terra terra” e solo l’idea di un “berluscone” mi fa impazzire. Se avessi meno anni farei la rivoluzione!

  • 2 Sergio Ravaioli
    1 Agosto 2008 - 17:00

    Caro Pubusa,
    hai perfettamente ragione! Condivido la tua analisi al 100%.
    Anche la metafora dell’uovo: io l’ho usata paragonando Soru al cuculo che depone l’ uovo nei nidi altrui e, appena avvenuta la schiusa, butta giù le uova deposte dai titolari del nido.
    Basta cosi, anche se altro si potrebbe aggiungere.
    E però, compiuta l’analisi, occorre passare al capitolo successivo: CHE FARE?
    Forse la cosa migliore sarebbe andarsene al mare: le ultime vicende hanno rivelato una tale mancanza di razionalità (è troppo dire stupidità?) che ogni previsione basata sulla ragione rischia di essere smentita il giorno dopo. Lo sfascio e l’ottusità hanno ormai raggiunto tali livelli che può accadere di tutto.
    Ci voleva tanto a capire che le primarie le avrebbe comunque vinte Soru? Ci voleva tanto a capire che molti piccoli partiti (ed anche metà PD) altro non aspettavano che la vittoria di Soru alle primarie per ingoiare un rospo molto difficile da mandar giù e da giustificare con i propri iscritti? Ci voleva tanto a capire che promulgare la statutaria avrebbe reso molto più difficile ingoiare il rospo?
    Ma, tant’è. Con le pietre, come dici tu, non si ragiona. Si può solo sfasciare!
    E allora?
    Allora, se non vogliamo cadere dalla padella nella brace, bisogna lavorare per un terzo polo! Senza fare troppe radiografie a questo o a quello esponente di partito: un polo di garanzia democratica abbastanza forte da puntare a superare il 20% dei consensi elettorali e quindi poter condizionare il raggruppamento che arrivasse primo alla prossima corsa elettorale, qualunque esso sia. Una coalizione che possa presentarsi al popolo Sardo come strumento di garanzia democratica e di indipendenza da poteri esterni alla Sardegna. Una coalizione che sappia superare importanti differenze, diffidenze e appartenenze del passato facendosi carico delle drammaticità della situazione economica ed istituzionale in cui versa la nostra Regione.
    Un’operazione che qualcuno ha già definito “lista civica regionale”. Più ambiziosamente io osservo che presenterebbe alcune somiglianze con quella portata avanti nel dopoguerra da Bonomi prima e da Parri dopo e che fu essenziale per portare un’Italia ridotta in macerie sui binari della democrazia e dello sviluppo.

  • 3 GIORGIO COSSU
    1 Agosto 2008 - 23:57

    SORU, con i limiti delle analogie, è il cuculo infilato nello spazio del PD, per alcune ragioni essenziali, che le riforme sono improntate non alla crescita economica e sociale, ma al rigore aziendale, e ad alcuni obiettivi regressivi di etnocentrismo populista, a poche idee selettive e sbilanciate perchè prive di progetto e solitarie anche quando supportate da gruppi come il PPR guidato dal comitato politico, e il PRTS, e grandi opere gratuite e imposte, TUTTO basato su un FARE contro progetto e pluralismo, cardini di una forza riformatrice. La formazione andava riformata ma anche con un progetto di riduzione ma relativo a sbocchi reali, come il turismo e nuove tecnologie. Il risultato sono 780 milioni in assistenza, 700 in progetti integrati dispersivi, e diverse centinaia in idee sbilenche e prive di sbocchi. TUTTO questo basato su un metodo autoritario centralistico e di cooptazioni e connivenze. Questa costituisce la base negata di democrazia che conduce ad esiti improduttivi. Che ci siano i suoi sostenitori privi di visione politica e di accomodante sensibilità democratica convinti che il fare, la decisione fuori dagli impicci democratici e del pluralismo, è anche uno sciagurato prodotto della scarsa formazione democratica e politica, dei fastidi verso mediazioni passive prive di effetti positivi, ma anche del moralismo populista acceso da un modo autoritario tutto giocato contro nemici. RESTA che una politica debole di progetto ma sostenuta da continue decisioni e divisioni si contrasta con una politica forte sostenuta da progetti pragmatici e da consenso esteso.
    IL CHE FARE non può essere allora ristretto all’adesione ad una ribellione al CUCULO, ma un progetto democratico e pluralista coerente.
    La lista CIVICA regionale basata su vecchi partiti non risponde ad esigenze di rinnovamento di linea e di metodo e classe dirigente. Il ricorso a linee letterarie e indipendentiste riproduce parte di quei valori ed illusioni regressive, pulsioni moralistiche verso il nemico esterno, infondate in un mondo che richiede forti interazioni, reti estese, e in sostanza una cultura all’altezza di problemi comuni. Agire dentro un quadro nazionale ed europeo difficile richiede ben altro spessore che improvvisazioni su sovranità e identità, ma un disegno sulla legittimazione democratica di un grande progetto di sviluppo che individui istituzioni pluralistiche necesarie non solo alla democrazia formale ma necessarie ai progetti di sviluppo dentro una società complessa.
    CI sono altri passi che vanno fatti oggi, altre urgenze che la ricerca affannosa di SCIALUPPE di salvataggio, c’è un grande sconcerto e confusione nella classe dirigente possibile, nella ruling class, nell’area riformistica che chiede una direzione di uscita dal cul de sac in cui Soru e i suoi con vecchie e nuove connivenze ci hanno condotto, una classe dirigente si vede quando ci sono i momenti della decisione chiara e di atti conseguenti e tempestivi. Intellettuali che abbiano un disegno, una èlite, un gruppo rispettato per livello ed etica, oggi sono chiamati ad un compito collettivo.

  • 4 Sergio Ravaioli
    2 Agosto 2008 - 11:45

    Caro Cossu,
    condivido pressoché tutti i tuoi ragionamenti, nonostante il tono apparentemente polemico.
    Non vorrei però che ci incartassimo nell’antico, irrisolto problema dello stabilire se è nato prima l’uovo o la gallina.
    Cioè (prometto che non nominerò più l’uovo): nasce prima il programma o la coalizione che supporta il programma.
    Chi lo redige il programma da presentare alla coalizione? E come credi che reagirebbe un soggetto politico al quale si presentasse una piattaforma programmatica bell’e pronta (magari di 100-200 pagine, come si usa tra noi intellettuali) ?
    I programmi si costruiscono insieme. Insieme a chi? Insieme a chi condivide una valutazione generale sulla situazione politica (economica ed istituzionale), una solida formazione (e curriculum) democratica e politica, e – last but not least – assenza di conflitti di interesse.
    Penso che un po’ di riflessione sotto l’ombrellone e qualche rinfrescata nel nostro bel mare ci aiuterà a fare i ragionamenti giusti e a prendere le decisioni conseguenti.
    A proposito di ombrelloni: non disprezzare le scialuppe! Per chi sta annegando è benvenuta anche una ciambella di sughero. A pericolo scampato potremo essere più esigenti nello sceglierci la compagnia.

  • 5 GIORGIO COSSU
    3 Agosto 2008 - 11:13

    Caro SERGIO,
    un esame di diverse divisioni inutili, non polemico con te, ma con idee, ma un invito ragionato, un appello ad una possibile classe dirigente a fare uno sforzo di ricostruire un disegno, sempre più necessario, in modo unitario, evitando le alternative fragili e solitarie, evitando la “piramide rovesciata”, partire dal candidato per poi affidargli la costruzione del programma e la scelta del gruppo su cui chiedere il consenso. La piramide democratica, la selezione corretta, parte dal confronto di idee e da un emergere di un gruppo articolato tra cui avviene una selezione e divisione di ruoli e deleghe. Un processo che avviene a partire da una cultura condivisa, il campo dei riformatori, che significa tre elementi progetti di mutamento di ampio respiro, istituzioni e strumenti adeguati, pluralismo e classe dirigente legittimata con verifica continua del consenso. Partire insieme da un confronto aperto, che implica ricerca di forze culturali e sociali, sulle linee di azione, insieme di criteri e scelte. Partecipazione responsabile se avviene su un disegno, che non è il programma definito, ma una strategia che individua le priorità, e implica lo sforzo di costruirlo insieme, senza illudersi di soluzioni facili. I fatti continui di divisione e confusione dimostrano che esiste uno spazio da ricostruire. Dentro l’area progressista e pluralista, che si richiama spesso in modo improprio alla solidarietà, per ricostruirne il senso moderno di progetto anticipato e ampio, la direzione, in azioni politiche.
    Sta annegando chi ha preteso stare da solo e una serie di opportunisti e conniventi deboli e oggi di fatto allo sbando.
    Anticipare, al confronto insieme, la ricerca di candidati o coalizioni non risponde alle azioni prioritarie da fare oggi, sia per efficienza, sia per qualità e scelta coerente. Non si può accettare il metodo rovesciato, siccome fra un anno il candidato sarà forse Soru scelgo un meno peggio o viceversa, oggi occorre agire sulle contraddizioni che sono scoppiate via via, Soru non ha vinto le primarie, ha perso due occasioni elettorali, ha combinato un guaio plateale ponendosi in minoranza oggi, ci sono molti, se non tutti, gli elementi per occuparsi di questo momento di crisi e Identità del PD.
    In ogni caso, prima di tutto ci sono le discussioni sulle idee, che è compito di intellettuali liberi e non organici a ideologie o a partiti, e non tecnici legati al potere o a gruppi. Non vedo nessun meno peggio da scegliere, non siamo neppure in questa contingenza, idea che trovo falsa, sbagliata e inutile, ma il ruolo di contribuire a soluzioni ottimali.
    In sintesi c’è un metodo sbagliato nei tempi e nella accettazione e contributo a previsioni che si autorealizzano, tipico del populismo e dei conservatori, non proprio di una politica pragmatica e innovatrice. C’è una conseguente difficoltà a rimettere in piedi un corretto metodo democratico e riformatore ed assumere un adeguato ruolo progettuale e pedagogico.
    C’è in tutta l’area di centro-sinistra l’assenza di un disegno coerente riguardo alla politica di sviluppo, alle istituzioni pluralistiche e agli strumenti di intervento, ed alle forme di democrazia nuove per la selezione della classe dirigente. Un’incapacità di offrire una prospettiva adeguata ai problemi e alle attese. Fuori non ci sono né disegni né metodi, né una cultura per produrre un’opera di garanzia e governo. Troppi cattivi costumi e vecchi metodi, improvvisazioni e vecchi arnesi.
    La dispersione delle forze dovuta alla illlusione di strade solitarie, lontane da obiettivi reali, ha impedito ben altri esiti, certo un punto chiaro, nella costituzione del PD. Evitare oggi quegli errori consentirebbe oggi un’opera di disegno unitario sulle priorità, assolvere al compito politico di ottenere modifiche in una direzione nuova.

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