Due o più sinistre, una sinistra o nessuna?

16 Dicembre 2012
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Gonario Francesco Sedda

Alcuni mesi fa Mario Tronti scrisse un articolo, a proposito delle “due sinistre” (l’Unità, 5 luglio 2012, “È ora di superare le due sinistre”), che mi aveva lasciato insoddisfatto. Recentemente il suo punto di vista è stato ripreso da Emilio Carnevali (Micromega-online, 19 novembre 2012, “Oltre le due sinistre”) per confermarlo e rafforzarlo con ulteriori argomenti e da Alfonso Gianni (Micromega-online, 6 dicembre 2012, “A proposito delle due sinistre: dal big bang alla fusione fredda?”) per mettere in evidenza – rispetto all’evolversi della situazione – che il tema stesso rischia di essere fuori tempo (“non avremo più né due sinistre né una grande sinistra, ma nessuna”). Ho riletto l’articolo di Mario Tronti e ho trovato confermata la mia insoddisfazione.
1. Una prima osservazione riguarda l’uso evocativo della parola “sinistra” che la rende un bersaglio mobile in quanto pronunciarla non la rende di per sé comprensibile in modo chiaro e definito. È una parola con una storia lunga e densa, contrastata e contraddittoria. E se per discuterne non occorre certo scrivere ogni volta un saggio preliminare o addirittura un libro introduttivo, tuttavia un minimo di lavoro definitorio (pertinente a una particolare discussione) è necessario.
2. Una seconda osservazione riguarda l’uso riduttivo o distorto della parola “sinistra” che viene fatta coincidere con “partito di sinistra” o sedicente tale: un partito di sinistra fa “una sinistra”, due partiti fanno “due sinistre”, tre partiti fanno “tre sinistre” e così via. È in questo quadro riduttivo che Mario Tronti scrive: «Il dopo ’89 ha consegnato alla cosiddetta seconda Repubblica - e questa ne ha fatto un motivo quasi costituente - la teoria e la pratica delle “due sinistre”. Se è vero che queste due cose - seconda Repubblica e due sinistre - stavano insieme, allora insieme cadono». Ma come si fa a sostenere che le “due sinistre” sono un prodotto “spurio” che il crollo del “socialismo reale” ha consegnato alla cosiddetta seconda Repubblica? Non erano forse “due sinistre” quelle che dal 1921 si sono organizzate come tendenza socialista (PSI) e come tendenza comunista (Pcd’I/PCI) fino alla scomparsa della prima Repubblica?
In realtà sono sempre esistite molte sinistre o almeno due: tutto dipende “all’origine” dal rapporto che la politica ha nei confronti dello “stato presente delle cose” (il capitalismo e le sue articolazioni sociopolitiche). Lo stesso marxismo è nato e ha cercato di affermarsi in mezzo, contro o in rapporto a una pluralità di sinistre, di socialismi o di percorsi “rivoluzionari”. Anzi, sarebbe più corretto parlare di “marxismi” e ricordare che lo stesso Marx disse «moi, je ne suis pas marxiste (io non sono marxista)», cioè non sono il padre e il cultore di una nuova teologia.
3. Prosegue Mario Tronti: «Ma direi di più. È tutta la fase neoliberista del capitalismo-mondo che ha prodotto e tenuto in piedi quella teoria e quella pratica. Da un lato la radicalizzazione movimentista no-global e new-global, dall’altra le Terze Vie e il neue Mittel. Nemmeno antagonisti e riformisti, piuttosto contestatori e liberisti». In realtà non dice molto di più. Prima era il «dopo ‘89» che “consegnava” la teoria e la pratica delle due sinistre alla cosiddetta seconda Repubblica, ora è «la fase neoliberista del capitalismo-mondo» che le “produce” e le “alimenta”.
Ma nel comune quadro del capitalismo-mondo la radicalizzazione movimentista non ha imposto sempre e comunque il tema delle “due sinistre”. Forse che negli USA e in Inghilterra quel tema si è imposto come compito attuale e di medio periodo? In Germania il movimento ecologista è comparso e si è affermato prima dei movimenti no-global e new-global. E in Francia e Spagna il tema delle “due sinistre” si è posto in modo che non può essere riassunto nella fase neoliberista del capitalismo-mondo.
4. Mario Tronti si è sempre collocato e ancora si colloca nel campo delle “sinistre”. Nell’articolo in questione il richiamo al suo campo è continuo e insistente: “proposta per un’alternativa a sinistra”, “per un centro-sinistra diverso è indispensabile una sinistra diversa”, “progetto di governo della sinistra”, “popolo della sinistra”, “dibattito sul destino strategico della sinistra”. Ma che coscienza ha della propria posizione dentro l’area del Partito Democratico? È possibile che ritenga del tutto casuale e/o di poca importanza il fatto che la parola “sinistra” non connoti più il nome di quel partito e che sempre più raramente se ne senta il suono sia pure debole? È forse una sorpresa che la Carta d’Intenti del PD (fine di luglio 2012) nomini una sola volta la parola “sinistra” rivolta però a SinistraEcologiaLibertà (SEL) come forza associabile dentro il Patto dei Democratici e dei Progressisti in quanto “sinistra di governo” contrapposta alle sinistre “antigovernative”? E che nella Carta d’Intenti della Coalizione (prima metà di ottobre 2012) sia scomparsa del tutto?
La verità è che dopo le parole socialismo e comunismo anche “sinistra” è diventata o sta diventando una parola eretica, anche perché parente o contigua o comunque associabile alle prime due. Coloro che erano, sono o diventano di “sinistra” sarebbero settari incapaci di produrre teoria e pratica efficaci, di costruire alleanze, sarebbero movimentisti/antagonisti/contestatori malati di massimalismo, sarebbero rotami del novecento pronti allo scontro fallimentare nelle piazze, si lascerebbero contaminare dal populismo, non saprebbero e soprattutto non vorrebbero vincere, desirerebbero follemente restare “pochi, ma buoni”, sarebbero nel migliore dei casi testimoni sterili di belle idee. Invece i democratici e i progressisti …
5. L’articolo in questione è stato scritto il 5 luglio 2012, quando una buona razione di cannonate antipopolari era già stata somministrata. In particolare la riforma delle pensioni (Art. 24 del D.L. 201 del 6/12/2011, convertito in legge 214 del 22/12/2011) e la sostanziale manomissione dell’Art.18 dello Statuto dei lavoratori (28 giugno 2012 con successivo, ma irrilevante aggiustamento). Eppure Mario Tronti non ne parla, anche se avverte la necessità di rendere compatibili «pensare strategicamente e operare nella congiuntura». Certo in un breve articolo non si può scrivere tutto e di tutto, ma ciò che si sceglie di scrivere o di non scrivere e il modo in cui si scrive sono importanti. Chi sta parlando di “superare le due sinistre” per una sinistra che sia all’altezza dei nuovi compiti teorici e pratici posti dalla “fase neoliberista del capitalismo-mondo” non può cavarsela assegnando al PD in parlamento «il compito certo di contribuire responsabilmente all’uscita dalla fase acuta della crisi economico-finanziaria», ma anche «un compito supplementare: contenere, quanto più possibile, i danni, i disagi, a volte le ferite, che le misure da prendere infliggono al suo popolo». Forse che tutto ciò che è passato prima del suo articolo (5 luglio 2012) è stato solo un “responsabile contributo” all’uscita dalla crisi senza quei danni, quei disagi e quelle ferite per il “suo” popolo e per il “popolo” in generale che temeva derivassero dalle misure “future”? Ora, dopo che quel futuro si è svolto ed è passato, possiamo anche vedere come quel “compito supplementare” di contenimento sia stato svolto senza chiari segnali di discontinuità rispetto alla prima fase ferocemente antipopolare del governo Monti e invece sotto il segno della debolezza e della subalternità al liberismo nazionale e internazionale.
6. Riguardo alle riforme costituzionali Mario Tronti raccomanda un «minimo di modifiche … senza quei macroscopici stravolgimenti, agitati più per propaganda che per reale effettualità». Anche qui un altro silenzio: con la legge costituzionale del 20 aprile 2012 è stato introdotto nella Costituzione il cosiddetto “pareggio di bilancio”. In fretta, senza coinvolgere né il “suo” popolo né quello degli altri e – saggezza dei saggi – con un quorum dei due terzi dei componenti nella seconda votazione (sia alla Camera, sia al Senato) per evitare che la modifica costituzionale venisse sottoposta a referendum popolare. È forse sembrata a Mario Tronti questa modifica così minimale e senza “reale effettualità” da non segnalarla, prima di spiccare il volo in alto … in alto … verso «la vera legislatura costituente» dopo le prossime elezioni del 2013?
Ma anche ciò che Mario Tronti dice a proposito di una nuova fase costituente non mi convince: «Ed è indubbio che bisognerebbe inventarsi una sede inedita in grado di approntare una proposta finalmente complessiva. Ragionevole, mi sembra, l’idea, di grande valore simbolico, che sta circolando: una Commissione dei Settantacinque, chiamata a istruire la materia. Da precisare forse in questo modo: personalità autorevoli, non elette direttamente, ma indicate dai partiti, prese dal loro bacino di competenze, proporzionalmente alla rappresentanza conquistata nelle prossime elezioni politiche. Al nuovo Parlamento quindi l’assunzione, la possibilità di modifica, l’approvazione della proposta».
Ora, se la nostra Costituzione avesse bisogno di una radicale revisione non vi sarebbe bisogno di nessuna sede “inedita” (!?) e l’unica sede “appropriata” sarebbe un’Assemblea Costituente eletta direttamente con sistema proporzionale puro. Ma si dice che sia “solo” la seconda parte della Carta che ha bisogno di un adeguamento. Dunque secondo questo punto di vista la nostra Costituzione non avrebbe un impianto coeso e interdipendente nelle sue parti, ma sarebbe il risultato della giustapposizione di una dichiarazione di buone intenzioni al nucleo denso della strutturazione e del funzionamento dello Stato. Ne consegue che la seconda parte della Carta potrebbe essere staccata e manipolata a piacimento e poi riattaccata (giustapposta) alla parte dei principi senza depotenziarla e neppure contraddirla. Ma anche stando a questo punto di vista, sarebbe poco ragionevole l’idea di una “Commissione dei Settantacinque”, addirittura non eletta direttamente e invece costituita da “personalità autorevoli” indicate dai partiti. Anche in questo caso la sede “nota e appropriata” dovrebbe essere quella parlamentare e i partiti dovrebbero eleggere deputati e senatori con competenze e capacità costituenti.
A proposito di adeguamenti o aggiornamenti resterebbe da chiedersi se sono davvero tutti degli innovatori quelli che li propongono. A me sembra che la maggior parte di essi proponga un fritto misto di pesci già fritti: pezzi di costituzioni già esistenti e talvolta più vecchie della nostra. Invece del tanto sbandierato aggiornamento si propone il ritorno al passato con ampia scelta in un arco di tempo di oltre due secoli.
Eppure anche la nostra Costituzione può essere migliorata, ma l’aria che tira non va in quel senso.

1 commento

  • 1 Nicola Imbimbo
    19 Dicembre 2012 - 17:20

    Condivido la gran parte degli argomenti usati in questo “saggio”.C’è un altro (almeno) illustre uomo uomo di cultura che si ostina a rivolgersi al PD, pensando che questo partito possa rispondere ad un richiamo che lo porti fuori dalle logiche neoliberiste portate avanti con convinzione da Monti e assecondate senza troppa fatica dal PD : la più scandalosa delle scelte condivise è quella di una modifica della costituzione (è vero non è che la II parte può essere terra di conquista e di scorribande relegando in una nicchia puramente decorativa la prima) italiana (ma quanti milioni di italiani se ne sono accorti, quale dibattito è stato promosso nel paese?), modifica della costituzione imposta dai mercati! Peggio dai mercati finanziari tutelati dal FMI. E’ lo storico della letteratura italiana Alberto Asor Rosa che ancora pensa al PD come ad un partito,sia pure vagamente di “sinistra”.
    Se posso fare un’osservazione all’autore di un cosi ben argomentato articolo.: se l’argomentare non ha una conseguenza sulle scelte politiche da suggerire o praticare, rimane un dibattito puramente accademico molto circoscritto dal momento che il pensiero di Mario Tronti al momento non è di rilevante interessa nel paramano teorico-politico.
    Mi piacerebbe conoscere l’opinione dell’autore su un fatto politico nuovo accaduto nel corso dell’ultimo anno, se non nella controversa configurazione del mondo definii di sinistra, certamente nel campo dichiaratamente antiliberista. E’ un’opinione interessata perché ho sottoscritto quel “Manifesto per un soggetto politico nuovo” di Gallino, Revelli, Ginsborg, Lucarell ed altri, e da cui è nata una proposta elettorale “Cambiare si può” che proprio in questi giorni è stata presentata e discussa anche a Cagliari e che vedrà sabato 22 l’epilogo (relativamente alle imminenti elezioni) per decidere se e come presentare una lista di “quarto polo”, alternativa al PD SEL.

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