La liberazione dai lager e l’amara realtà del ritorno

9 Maggio 2015
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Gianna Lai  

Continuiamo la riflessione sulla Resistenza e la Liberazione con questa sintesi di un Intervento di Enzo Collotti a Cagliari. 

 ’La Liberazione dai campi di concentramento e l’amara realtà del ritorno‘.
Così si intitola l’intervento di Enzo Collotti per la Giornata della Memoria, il 27 Gennaio all’Università di Cagliari.
Fu la liberazione dai campi di concentramento e di sterminio a rivelare l’enormità dei crimini nazisti, dice il professor Enzo Collotti, secondo una cronologia, sull’approssimarsi delle forze antinaziste, che ci consente di seguire alcune tappe della Liberazione. Il primo campo fu liberato il 23 luglio del 1944 dall’Armata Rossa, il campo di Majdanech, in Polonia. Nel settembre dello stesso anno l’Armata Rossa raggiunse Triblinka, due episodi che diedero luogo alle primissime pubblicazioni e che fecero conoscere al mondo cosa era successo. La prima pubblicazione fu ad opera di un corrispondente di guerra russo, K. M. Simonov, che scrisse ‘Il campo di sterminio’, un reportage diffuso in parecchie lingue, ed anche in italiano, per far capire cosa era successo. La seconda pubblicazione si intotola ‘L’inferno di Treblinka’, del giornalista sovietico V. S. Grossman, uno dei più importanti reportage, che si richiama all’Inferno di Dante, su un campo incendiato e distrutto dai nazisti, come spesso succedeva all’arrivo dei liberatori.  Alla fine del ‘44 gli americani, provenendo dalla Normandia, raggiunsero Natzweiler, già abbandonato dai nazisti, il primo campo della Francia. Il 27 Gennaio ‘45, Auschwitz viene liberata dall’Armata Rossa, gli americani entrano a Buchenwald l’11 aprile, e poi inglesi e americani a Bergen Belsen, Dachau, Mathausen e l’8 maggio i sovietici liberano Terezin.
Cosa trovano i liberatori? Le èquipes di giornalisti e di fotografi sono fondamentali per documentare l’entità dei crimini, per sapere quanti sono i sopravvissuti tra i deportati, circa 350mila, secondo i dati del tempo. Ma chi erano i deportati? Il censimento americano a Buchenwald è un esempio della molteplicità di appartenenze nazionali: 2800 francesi, 3800 polacchi, 1240 ungheresi, 570 inglesi, 4380 russi, 324 olandesi, 622 belgi, 550 austriaci, 242 italiani, 2015 cechi, 1800 tedeschi, 260 lussemburghesi, 1207 spagnoli repubblicani, catturati in Francia. Nei campi di prigionia si trovavano cioè tutte le nazionalità europee. Gli americani volevano documentare subito i fatti accaduti e indissero immediatamente, con la collaborazione dei prigionieri e con tecnica che piace agli storici, un censimento sulle nazionalità e una raccolta di testimonianze. Per redigere il ‘Rapporto Generale sul Sistema concentrazionario nazista’, e non solo a Buchenwald, essi incaricarono gruppi di internati. A capo, il noto esponente del cattolicesimo di sinistra, che nel 1946 pubblicò il libro ‘Lo Stato delle SS’ (mai tradotto in Italia), Eugen Kogon, direttore di una Rivista tra le più importanti del dopoguerra. Dagli anni Ottanta in edizione completa negli Usa, questo straordinario documento sta alla  base di tutti gli studi successivi sul sistema concentrazionario. Perchè tanto interesse da parte degli americani a documentare ciò che è avvenuto? Il generale Eisenhower volle subito visitare Buchenwald, per inviare a Marshall un telegramma sulla scoperta continua di nuovi campi, ‘qualunque cosa detta finora è inadeguata’, e su quelle indescrivibili condizioni di orrore. Si decise di divulgare e imporre al popolo tedesco, di Weimar in particolare, così vicina a Buchenwald, la visita del campo e l’enormità di quel crimine. Si volle dare consapevolezza ai tedeschi della loro responsabilità e del coinvolgimento della popolazione della Germania  nei crimini, subito prima di Norimberga, di cui si stavano preparando gli atti di accusa.  La realtà dei campi fu per gli Usa un vero choc e divenne  componente essenziale della politica degli alleati nella fase punitiva ma, altrettanto importante per la completezza della  documentazione, fu registrare  le reazioni di chi era stato liberato e le aspettative degli ex deportati. Nacque così il ‘Testamento di Aprile’, contenuto e linguaggio ricordano il contesto e la temperie dei primissimi mesi del dopoguerra,  redatto e letto a Buchenwald da ex deportati, nell’aprile del 1945: ‘Noi rimasti in vita, testimoni della bestialità nazista, abbiamo visto cadere i nostri compagni in rabbia impotente….Oggi siamo liberi, ringraziamo gli eserciti liberatori della vita nostra. Rivolgiamo il pensiero a programmatorie lotte, onore alla memoria di Roosevelt. La nostra parola d’ordine è annientamento del nazismo dalle radici, costruiamo un nuovo mondo di pace e libertà. Questo dobbiamo ai nostri compagni assassinati’. Ma non venne realizzato nella sua integrità il Testamento dell’aprile 1945: cosa aspettavano i deportati? Aspettavano il  rimpatrio, che fu facile per alcuni, più difficile per altri, come per gli italiani, gravissimo il ritardo burocratico nel nostro paese, come  era già avvenuto  nella Prima guerra mondiale. E c’è diffidenza e incomprensione, nei confronti degli ex deportati di cui parlano tanti testimoni. L’Odissea del rientro da Auschwitz, la racconta Primo Levi ne ‘La Tregua’, Lidia Beccaria Rolfi, ne ‘L’esile filo della memoria, un drammatico ritorno alla libertà’, descrive la mancanza di comprensione della popolazione nei confronti dei deportati. Una sorta di paralisi di fronte al rientro in massa di persone, le cui vicende restano sconosciute alla maggioranza degli italiani, in particolare, per capire quello stato d’animo, nei confronti delle donne deportate, accusate di essersi fatte deportare, per non si sa quale ragione. Incomprensione anche da parte di persone insospettabili, come  Emilio Lussu, (come)………. Ministro dell’assistenza postbellica, che si doveva occupare del rientro e della situazione generale degli ex prigionieri. Egli stenta a comprendere questo fatto nuovo nelle motivazioni più profonde, ’sembra loro un dovere di vendicarsi di qualcosa….. I prigionieri ritornano dai campi e,  vissuti lontani ed estranei agli avvenimenti italiani, in molti di essi è rimasto un atteggiamento arrogante’. Perchè è così difficile capire la condizione  dei deportati? E, di conseguenza, perchè  tanta reticenza negli ex deportati? Dice Bruno Maida che tre furono le ragioni principali a caratterizzare il comportamento di chi tornava, la prima, quella interiore, tesa alla ricerca delle mogli e dei familiari, insieme alla necessità di  veder riconosciuto il proprio sacrificio. La seconda, il confronto con una società che non era in grado di ascoltare, quindi il silenzio sul loro conto, sugli ex deportati, che accompagnò tutta la Ricostruzione del Paese. Era come se i deportati si trovassero a vivere isolati, in un mondo non solidale, difficoltà psicologiche rispetto al reinserimento, ma anche  radicale incapacità della popolazione a capire il dramma. E pochi furono anche i tentativi di ricostruzione storica sulla memorialistica che descrisse quegli eventi e che, si scoprì poi, essere  sterminata.  Una distanza che la storiografia ha mantenuto su queste tragedie umane e che  ha privato degli apporti di tante persone il processo di democratizzazione dell’Italia. Un tema su cui oggi dovremmo tornare a interrogarci, non di celebrazione si tratta, ma di conoscenza storica e approfondimento per le future generazioni.

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