L’Afghanistan ci interroga sullo stato della nostra democrazia e sui nostri doveri costituzionali

7 Settembre 2021
1 Commento


Andrea Pubusa

Ha ragione Tonino Dessì a dire che l’Afghanistan non pone interrogativi solo sulle sorti della democrazia in quel paese, ma a noi  anzitutto ci chiede di fare i conti con la situazione democratica in Italia. Com’ è stato possibile che l’Italia abbia potuto inviare truppe e mezzi in una terra lontana, senza alcuna connessione con la nostra sicurezza nazionale? Senza alcuna esigenza di difesa? Come le forze politiche in coro hanno potuto non vedere il grave e manifesto vulnus dell’articolo 11 della nostra Carta che ripudia la guerra come strumento di offesa degli altri popoli? Della loro indipendenza se non della loro libertà, stante la mancanza di demcrazia? E come non rendersi conto del fatto che, da che mondo è mondo, la democrazia non si esporta, e non germoglia e cresce se il seme non è internamente impiantato e curato? E perché non si è visto e voluto vedere che la Carta rifiuta l’intervento armato “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”? L’Afghanistan è in realtà lo specchio del nostro tradimento della Costituzione e del suo spirito.
Viene allora da chiedersi se, nella lenta ma inesorabile instaurazione di una costituzione materiale che in tutti i suoi articoli contraddice e spesso si contrappone a quella scritta e approvata dall’Assemblea cosituente, non ci sia una grave responsabilità non solo delle destre fascisteggianti che non l’hanno mai accettata, ma anche nostra che ci richiamiamo alla Resistenza. Questo è il punto: abbiamo difeso la Carta dalle manomissioni formali (non da tutte), ma non l’abbiamo inverata. E non può non sorgere un quesito terribile: abbiamo fatto ciò ch’era possibile per il lavoro, per la pace, per l’uguaglianza? A giudicare dall’Afghanistan e dal dibattito attuale, la risposta è sconsolatamente negativa. Poche chiacchiere, l’insieme delle forze politiche, anche quelle c.d. di centrosinistra (di sinistra non parliamo, per favore!), hanno accettato o accompagnato o radicato la costituzione materiale vigente, e non si vede una inversione di rotta. Ci interroghiamo sul giogo dei talebani, ma non su quanto noi dobbiamo fare per creare un ordinamento di libertà e giustizia nel nostro paese, che vuol dire porre a base della politica nazionale il lavoro e i lavoratori e individuare nell’obiettivo dell’uguaglianza formale e sostanziale il motore della politica e dell’ordinamento.
A ben vedere, è il ripristino della lettera e dello spirito della Costituzione che aiuta anche gli afghani, al di là delle chiacchiere ipocrite e false. E’ la libertà dei lavoratori che libera tutti, anche gli altri popoli.

1 commento

Lascia un commento